«La nostra Nota di aggiornamento al Def non mette in dubbio la stabilità finanziaria dell’Italia e dell’Europa, siamo abbastanza forti per reggerla. La sfida è sugli investimenti. ll programma di governo è molto preciso, moderato e necessario». Ma se la l’Ue si mettesse contro? «Non lo so, deciderà il popolo, io mi metto da parte».

Nelle due ore di botta e risposta alla stampa estera, pienone di cronisti da grande evento, il ministro delle politiche Paolo Savona rassicura ma anche inquieta, mostra la carota ma poi agita il bastone. L’occasione è la presentazione del suo documento «Una politeia (una politica per il bene comune, ndr) per un’Europa diversa, più forte e più equa», inviato a Bruxelles – e già consegnato alla discussione dell’europarlamento – nella speranza ottimistica che l’Unione faccia in tempo ad autoriformarsi prima delle prossime elezioni. Oppure meglio: che l’Unione ne abbia una qualche minima intenzione. Del documento, ’prova’ dell’europeismo del professore Savona, questo giornale ha scritto a più riprese. «Europeizzare il cambiamento», è lo slogan del ministro, sa bene che solo con una riforma seria «si può sconfiggere il sovranismo», nutrito e pasciuto dall’insipienza di «certi europeisti». Gli si obietta che l’aspirante capo dei sovranisti europei, Matteo Salvini, è un vicepremier del suo governo, e pratica lo sport di prendere a pernacchie i rappresentanti delle istituzioni europee; e l’altro vicepremier non fa che ripetere con trasporto «quest’Europa fra sei mesi è finita». Savona fa esercizio zen nella risposta: « Io cerco di rimanere sordo alle chiacchiere» ma le provocazioni a cui risponde Salvini sono ancora più volgari». E comunque «nessuno nel nostro governo è contro l’euro».

L’attenzione dei cronisti però è tutta per i rapporti sempre più tesi fra i governo italiano e Europa. Qui Savona vorrebbe tranquillizzare («Non sono un euroscettico», dice severissimo all’indirizzo dei corrispondenti tedeschi che lo descrivono così), ma lo fa in una maniera che invece sparge scetticismo in sala. Lo scontro non interessa nessuno, sottolinea, ma l’Europa deve cambiare, è la tesi di buon senso del ministro. Il Def punta su una crescita sottostimata perché «ci sono pochissimi investimenti. Se nel 2019 dovessimo incontrare difficoltà sui parametri che ci siamo dati alla fine troveremo un punto di incontro».

Ma c’è di più, anche molto di più nella dotta esposizione di Savona. Il professore non crede negli scenari foschi disegnati dalla stampa di mezzo mondo per l’Italia. Anzi rivela che nella cabina di regia si aspettava un botto più forte: fin qui «i mercati si sono comportati molto moderatamente, noi stessi ci aspettavamo di più», dice. Cioè peggio dello spread oltre quota 300. «La prova dei mercati l’abbiamo superata», giura, «Siamo più spaventati dello scontro politico tra élite conservatrici che portano avanti politiche deflazioniste e le forze riformiste che vogliono che l’Europa faccia qualcosa per cambiare» e invece «il mercato ha retto bene, è più saggio di quanto non sia lo scontro politico in corso». Ora però la prova della forza del governo si misurerà davanti al giudizio delle agenzie di rating.

Ma Savona è un inguaribile ottimista. Crede che fra il dire e il fare lo scontro con la commissione europea, ci sia di mezzo il capo della Bce: ancora quel Draghi che «ci sarà fino al 2019. Sono fiducioso che la Bce preverrà una nuova grave crisi», «Penso che ci penserà, non per l’Italia ma per evitare che ci sia una crisi grave in Europa».

E poi alla fine sbotta. «Il debito non l’ho fatto io», sottolinea, «grande stima per Padoan», il precedente ministro dell’economia, ma – riferisce – aveva detto che il deficit ereditato dal passato avrebbe dovuto essere dell’1,2 per cento «poi improvvisamente mi è stato detto che è passato al 2 per cento. Dunque l’operazione per cui tutti strillano è una cosa che vale 0,4 punti di Pil: flat tax, Fornero e reddito». Insomma «Che cosa dobbiamo fare con una politica monetaria che cambia segno e il rallentamento della crescita internazionale?». Cambiare. E invece l’Unione non vuole cambiare: «L’Ue tiene il pilota automatico in questo quadro. Rischia di andare contro un iceberg e lo tiene lo stesso?»