Alias Domenica

Savinio, letterario umano tra spontaneità e conquiste di stile

Novecento italiano Salvaguardia della cultura e progetti nel carteggio 1941-’52 con Valentino Bompiani ("Scrivere fino in fondo", Bompiani); e poi le cronache da Parigi in "Souvenirs", Adelphi: Alberto Savinio

Pubblicato quasi 5 anni faEdizione del 15 dicembre 2019

«Caro Savinio, ambasciatore Alvaro Vi rivolgo l’invito cordiale di entrare nella mia Casa. Vi ho seguito in questi anni con crescente ammirazione. Sarei molto lieto di essere il Vostro editore. Volete scrivermi?». Così, in modo semplice e diretto, Valentino Bompiani dà avvio nel febbraio 1941 a un’amicizia tra editore e autore delle più salde e feconde che il nostro Novecento abbia conosciuto. Savinio risponde lo stesso giorno in cui riceve la lettera, ed è subito concorde e fattivo: propone di adottare il tu, complimenta l’editore «così intelligente e coraggioso», accenna a progetti già pronti, addirittura tre volumi – racconti, biografie romanzate e prose – e ipotizza la rapida consegna di due romanzi. L’entusiasmo dello scrittore non è incrinato neppure da un «piccolo ostacolo», il diritto di opzione ceduto a Mondadori. Tra le lungaggini con cui Infanzia di Nivasio Dolcemare va in stampa nello «Specchio», e forte degli incitamenti di Bompiani – «ottieni la tua libertà e passa sotto le mie bandiere» –, Savinio convince Mondadori a rinunciare alla clausola e l’uscita di Narrate, uomini, la vostra storia, inaugura nel 1942 la collaborazione con la nuova Casa.
Il sodalizio intellettuale tra Valentino Bompiani e Alberto Savinio è ora ricostruito dall’interno, attraverso un dialogo epistolare interrotto solo dall’improvvisa scomparsa dello scrittore. Per le appassionate, eccellenti cure di Francesca Cianfrocca è apparso il carteggio Bompiani-Savinio, Scrivere fino in fondo. Lettere 1941-1952 (Bompiani «Overlook», pp. 576, € 35,00) con pregevole apparato iconografico. Gli estremi cronologici della corrispondenza inquadrano un periodo tra i più delicati del secolo scorso: l’apice di una dittatura conclamata e già consumata, ma ancora ferrea e stolta tanto da trascinare la nazione in guerra, le difficoltà di un territorio occupato e diviso, le sofferenze di una popolazione spesso sfollata e dimidiata dal conflitto interno, e infine la speranza della ricostruzione post-bellica. I protagonisti sono personalità d’eccezione: Bompiani, che aveva fondato la sua Casa nel 1929, è stato un «editore protagonista» – giusta la definizione di Gian Carlo Ferretti –, oltre che letterato e drammaturgo; Savinio, un pugno d’anni più anziano, compositore originalissimo, «pittore “di là dalla pittura”», come si definiva, e scrittore prolifico e arguto, fine quanto sfuggente a scuole e mode. Dell’incontro tra i due colpisce non solo la piena consonanza di gusti e d’intenti, ma anche la condivisa dedizione alla salvaguardia della cultura e all’impegno letterario, quasi lavoro fabbrile, non solo intellettuale, certo, e coinvolgente.
Etica e tangibile è la «speranza» che Bompiani nutriva in «una salvezza dal naufragio della guerra attraversi i libri», si pensi a una collezione dal nome allegorico come «La Zattera», economica e tascabile «da otto centimetri per tredici, inventata da Savinio per “alleggerire le spese della carta”», ha scritto Paola Italia, fatta di libri «più che sobri, spogli, di austerità monastica. Copertine grigie, appena impreziosite da leggere sovraccoperte. Carta di guerra, di infima qualità». Una collana che è ottimo, eloquente esempio della sintonia intellettuale e pratica tra editore e scrittore.
Bompiani, nell’invitare Savinio, mira «allo scrittore e non al libro isolato», confida che le sue opere siano d’esempio per autori a venire, e intende ideare con lui, e affidargli, progetti editoriali e curatele. Si tratta di una collaborazione a largo campo, non limitata alle opere messe in catalogo durante la guerra – le biografie romanzate di Narrate, uomini, la vostra storia sono seguite dai racconti di Casa “la Vita” (1943) e da Ascolto il tuo cuore, città (’44), «libro su Milano» ove Milano non è che «un pretesto» –, ma impegnata anche in lavori complicati come «il Luciano», lieve ammodernamento delle traduzioni fatte da Luigi Settembrini con volontà di «“lucianizzare” al massimo» la versione italiana, e corredo di disegni, ricco apparato di note e ampia prefazione dello stesso Savinio, o come il Pinocchio, che lo scrittore intendeva illustrare e commentare quasi «si trattasse dell’Odissea o del Don Chisciotte». Entrambe le riedizioni, fortunati i Dialoghi e i «romanzetti» di Luciano, mai arrivato in porto il Pinocchio, erano destinate alla «Corona» affidata a Elio Vittorini, interlocutore presente in un’Appendice del carteggio, e direttore, sempre per Bompiani, della collana antologica «Pantheon» nella quale avrebbe dovuto vedere la luce un volume ideato da Bompiani e pure affidato a Savinio «editore», Prospettiva della Letteratura Italiana, «60 ritratti dei più significativi scrittori d’Italia, dalle origini a ieri».
Il fervore creativo di Savinio, molto produttivo negli anni di guerra, procede all’unisono con il suo lavoro culturale: le due inclinazioni godono della sua inventiva e della sua totale adesione. Diversamente ma analogamente significativi si rivelano la maturazione letteraria e stilistica raggiunta dallo scrittore durante il sodalizio con Bompiani, e l’impegno culturale e allo stesso tempo artistico evidente nella curatela delle opere di Luciano di Samosata.
In Casa “la Vita”, ad esempio, di cui Bompiani amava l’apparenza svagata e i «profumati misteri», si dispiegano «al meglio delle loro potenzialità la fantasia e l’inventiva di Savinio», ha scritto Francesca Cianfrocca, «liberate anche grazie alla forma del racconto» che gli era congeniale. Proprio in questa raccolta Savinio compie quella «conquista dello stile» e inventa quella «lingua particolare», ha osservato Alessandro Tinterri, «costruita a immagine e somiglianza della sua fantasia, ironica, ipertrofica e paradossale».
E alla nuova edizione del Luciano Savinio si dedica con tanto trasporto e tanta fatica, e con piglio così personale, da poterlo considerare, scrive a Bompiani, «quasi come un mio libro originale».
Se almeno un giudizio, tra quelli confidati dallo scrittore all’editore, è ingeneroso – «Molti tengono per importanti le lettere di Gramsci, questo povero crociano», scrive in disaccordo con l’assegnazione del Viareggio 1947 alle Lettere dal carcere –, ben più convincente appare la concezione di classico citata da Cianfrocca a spiegare la vivace sfida della curatela lucianea e il rapporto «fresco e vitale» che Savinio intratteneva con i testi classici. La definizione appartiene alle voci della Nuova Enciclopedia, altro libro pensato per Bompiani ma apparso postumo: «è molto più intelligente, e profittevole, e umano trattare i “classici” alla stregua dei nostri simili, ossia come uomini fallibili, che come infallibili divinità; che è anche una condizione migliore per capirli».
Il poeta «più profondamente classico del nostro primo quarto di secolo» è per Savinio Guillaume Apollinaire, uomo «di costumi castigatissimi, mente adorna e ordinata», a dispetto di quanti lo considerano, invece, «un anarchico della poesia, un sovvertitore dei principii estetici, un assassino della forma». L’opinione, affidata a un articolo del 1934, si legge ora nella riedizione di Souvenirs (Adelphi «Piccola Biblioteca», con una Nota di Eugenia Maria Rossi, pp. 246, € 14,00) – ma si noti che Apollinaire è anche voce dell’Enciclopedia saviniana. Il volume, che raccoglie corrispondenze da Parigi inviate al quotidiano milanese L’Ambrosiano alla fine degli anni venti e all’inizio dei trenta, oltre ad articoli scritti per «Mercurio», La Stampa, «L’Italiano», «Omnibus», «Città» nei primi quaranta, era apparso, mediatore Enrico Falqui, per le Nuove Edizioni Italiane nell’agosto 1945. L’edizione, taciuta a Valentino Bompiani che ne ha notizia dal ritaglio di un quotidiano, circola per breve tempo, chiuse le Edizioni Italiane già nel 1946.
Queste cronache da una Parigi «Vieille Dame», nel catalogo Sellerio tra il ’75 e l’89, sono per noi una riacquisizione di gusto e di finezza. Alla spontaneità del Savinio epistolografo, testimoniata dal carteggio con Bompiani, si aggiunge qui la felicità stilistica, l’affabilità mai superficiale del pubblicista. Lo spaccato è di letteratura, di civiltà e di storia insieme. Articoli di osservazione sui costumi sociali e culturali si accompagnano a giudizi lampanti e a ritratti di artisti frequentati a Parigi.
La dote che si coglie, in queste due uscite quasi contemporanee, è l’autentica indivisibilità, in Savinio, tra lato umano e letterario. È il suo modo di cogliere la grazia, il «fascino lirico» dei disegni di Cocteau, e la qualità della sua poesia, entro la bontà di questo «Orfeo cattolico». O la sensibilità con cui scrive il compianto per la morte di Max Jacob in campo di sterminio: una sensibilità che lo coglie tutto nelle sue «mani minuscole», «nel paludamento da funebre arlecchino» dei suoi abiti rimediati, nel suo aspetto da «moscardino malmenato», votato a una poesia di «bisticci e bisensi», a una musica verbale coltivata con «la beata soddisfazione di un giocoliere giapponese».

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