«L’io sattiano si conferma nella sua legittimità di soggetto per la presenza di un tu che accordi al discorso la sua ragione d’essere. Satta, come un autobiografo, si rivolge a sé per il tramite di Laura e, per dirla con Jean Starobinski, «in questa doppia destinazione del discorso rende la verità discorsiva e la discorsività veridica». Così Angela Guiso nella prefazione di Mia indissolubile compagna, l’epistolario tra Salvatore Satta e la moglie Laura Boschian, durato dal 1938 al 1971 e ora pubblicato dalla casa editrice Ilisso (pp. 345, euro 11).
L’autore del Giorno del giudizio conobbe la donna che un anno dopo sarebbe diventata sua moglie nel novembre del 1938. Lei era una giovane assistente in lingue e letterature slave; lui giurista già affermato, ordinario di diritto processuale civile. Satta aveva allora 36 anni e attraversava un momento cruciale della sua esistenza. L’amore per Laura coincide con l’attraversamento di una linea d’ombra i cui esiti sono stati, lo si vede dall’epistolario, orientati in maniera decisiva dall’incontro con la ventenne studiosa di Dostoevskij e di Bulgakov.

È UNA FASE in cui Satta ha momenti «in cui è preda – scrive Angela Guiso – di «collassi» definiti, nella lettera a Laura del 16 febbraio 1939, «improvvisi smarrimenti, mancanze di fede, e con la fede, di forza, nei quali, se non fossi sardo e uomo, mi abbatterei in un pianto infinito». Soffre la presenza del «male ordinario»; il male che, fuori da ogni determinazione storica, accompagna e opprime, nella normalità del quotidiano, la vita di ogni essere umano. In una lettera del 15 marzo 1939 cita Leopardi, il Leopardi dello Zibaldone: «La Natura tutta e l’ordine eterno delle cose non è in alcun modo diretto alla felicità degli esseri sensibili o degli animali. Esso vi è anzi contrario». E in una lettera del 5 marzo 1939 annota: «Leggo atterrito I fratelli Karamazov».
Satta vive la dissoluzione del soggetto che segna la grande cultura borghese europea, che nell’autore del Giorno del giudizio si innesta in una vicenda personale in cui il versante familiare, e in particolare il rapporto con la madre, hanno un peso decisivo. Nella sua riflessione, insieme ai grandi autori russi e a Leopardi, entrano Dante e Pascal, Mauriac e Pirandello e Freud; in un quadro storico, quello dell’Italia fascista che dalle lettere emerge in tutta la sua bassezza intellettuale e morale, una palude di conformismo e di incultura.

LAURA DIVENTA allora per Satta il polo intorno al quale costruire – in una tensione dialogica mai sciolta in cui entrambe gli attori si mettono in gioco – la sua resistenza allo sguardo di Medusa, al «male ordinario» la cui vista può pietrificare ed uccidere. Una pratica di salvazione che per Satta – lo si vede dallo sviluppo delle lettere sino al 1971 – non si chiude mai, resta sempre aperta al rischio del fallimento. Intanto però l’esistenza di quel polo d’amore indissolubile consente che il gioco possa continuare, che non prevalga la resa.
Satta muore il 12 aprile 1975. Il suo capolavoro, Il giorno del giudizio, viene pubblicato postumo nel 1977. Il romanzo è una discesa agli inferi, un immergersi, con un’attitudine di inorridita compassione, nel «nido di vipere» che è Nuoro e tutta la condizione umana. A riprova che la linea d’ombra dei trent’anni per Satta è durata una vita intera. Grazie alla letteratura e al rapporto con Laura ha potuto guardare in faccia, senza soccombere, il dolore del mondo.