Il corpo poetico – quello che dà titolo alla grande mostra allestita fino al 26 febbraio al Palazzo delle Esposizioni di Roma per commemorare il centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini – è rivestito di panni che sono considerati uno dei capisaldi nella storia del costume. Al vertice degli spazi in cui il palazzo ha suddiviso l’esposizione, collocate in maniera finale e centrale come in un abside, sono appese le spoglie dei corpi pasoliniani, i molti fra i tanti costumi inventati da Danilo Donati e realizzati dalla sartoria di Piero Farani per alcune fra le più famose pellicole di Pasolini.

Sono oggetti presentati in maniera semplice, apparentemente neutra, eppure l’effetto è drammatico, appesi come sono uno dopo l’altro: su due ordini ai lati, e su un solo registro nella parete di fondo. Così disossati si stenta a credere che alcuni di essi siano mai stati realmente utilizzati, difficili come appaiono da indossare; non sembrano neppure panni umani perché non rivestono l’individualità dei personaggi che abbiamo visto sullo schermo ma una umanità poetica: i corpi di soldati, cortigiani, discepoli, contadini e popolani, quasi fossero il coro di una sacra rappresentazione o di una gerarchia angelica primitiva. Sembrano costumi di costumi.

In questo senso concludono una mostra che può essere letta anche – forse con un eccesso di pietismo che non sarebbe dispiaciuto al protagonista – come una lunga processione verso il martirio. In una delle sale c’è una parete intera, alta, candida in cui, colonna dopo colonna, riga dopo riga, sono elencati i fatti giuridici che coinvolsero Pasolini come persona e come autore: assomiglia per assurdo a quella sterminata Res gestae divi Augusti iscritta sul fianco dell’Ara Pacis – quella dell’Imperatore un’autocelebrazione, quella di Pasolini una scala santa di tribolazioni altrettanto eroica.

Il progetto delle tre mostre pasoliniane a Roma è a più voci: per quella del Palazzo delle Esposizioni sono stati all’opera Giuseppe Garrera, Cesare Pietroiusti e Clara Tosi Pamphili, che hanno affidato l’esposizione dei costumi fabbricati dalla Sartoria Farani a Olivier Saillard, storico della moda, curatore e autore di performance, già Direttore del Palais Galleria – Musée de la Mode de la Ville de Paris. È stato lui con Tilda Swinton a ideare Embodying Pasolini, la performance in cui l’attrice, in maniera rarefatta e solenne, presenta, indossa, manipola alcuni dei costumi di Donati e Farani per le pellicole di Pasolini. Di recente a Parigi, se n’era vista l’anteprima a Roma nell’estate 2021. Lo spettacolo (ma la definizione è inadatta) ha un effetto non opposto a quello delle schiere di vesti vuote appese nella mostra romana. Swinton non pretende le appartengano, non esibisce alcuna emozione (niente a che vedere con le «attitudini» di Lady Hamilton, per intenderci) ma dimostra in modo eccellente quanto il corpo per se stesso valga meno di ciò che lo riveste, pur non dovendosi trasformare in un mero manichino. Le apparizioni sono talvolta così poetiche da diventare commoventi grazie alla bravura di un’interprete e alla costruzione dei costumi.

La Sartoria Farani ha già reso omaggio al proprio sterminato patrimonio in diverse mostre. Nel catalogo di una fra le tante (1996, due anni prima il proprietario aveva donato circa duecento costumi al Centro Studi e Archivio dell’Università di Parma) c’era una lunga intervista di Arturo Carlo Quintavalle a Piero Farani dalla quale si apprendevano la storia, i metodi e i non pochi aneddoti di una delle più celebri manifatture di costumi, ancora oggi attiva a venticinque anni dalla morte del suo fondatore che, come Pasolini, oggi sarebbe centenario. Al di là delle date, degli spettacoli, dei personaggi, quelle righe funzionano ancora come un manuale redatto in prima persona, in maniera sintetica ma esaustiva, sul funzionamento di un’officina d’arte rivelando la pratica del mestiere in una lezione magistrale che forma il patrimonio non solo dei futuri costumisti ma degli stessi creatori di moda.

Quello fra Danilo Donati e Piero Farani viene raccontato come un rapporto strutturato sulla base di idee appena immaginate e schizzate per prendere forma e diventare una realtà materiale attraverso la sperimentazione, non solo del tecnico ma anche del disegnatore. Bisognerebbe a questo punto parlare di fedeltà e tradimento, di realtà e immaginazione – due scuole diverse nel campo dei costumi –, ma qui interviene la figura di Pasolini che, come è stato scritto ormai molte volte, evocava mediaticamente le immagini assimilate durante le lezioni di Roberto Longhi. Tre menti all’opera, più un’entità (quella di Longhi) che veglia sulla memoria visiva e linguistica: a questo punto entra in gioco l’arte suprema della manipolazione di materie apparentemente non appropriate, quella dei nuovi montaggi, dei nuovi tagli. Non c’è bisogno di prendere in mano i costumi esposti oggi alla mostra romana per saggiarne la consistenza o verificare la complessità della realizzazione: l’immagine d’insieme basta a far comprendere come quei feltri pesanti e rigidi, le lane ritorte e intrecciate, le corde tessute a mano, i cenci manipolati, gli elementi eterodossi giustapposti, esibiscano il più alto degli artifici scenici: la perfetta corrispondenza del dato tecnico con quello poetico.

Farani è vissuto fino al 1997 dopo aver realizzato una colossale quantità di costumi per il cinema, la televisione, il teatro lirico e di prosa. La Sartoria è ancora attiva, a pieno ritmo, sotto la guida accorta e meticolosa di Luigi Piccolo, erede di una tradizione imprenditoriale e conservatore di uno dei più spettacolari archivi del costume di scena che esista in Italia, costantemente consultato da operatori del settore teatrale e della moda. Custodisce alcuni fra i più epitetici costumi che si ricordino, legati ai nomi di Fellini, Zeffirelli, Lattuada, David Lynch, Roger Vadim: la succinta veste metallica indossata da Jane Fonda per Barbarella del 1968 ha viaggiato nei più grandi musei del mondo. È un patrimonio immenso che merita una tutela speciale: i restauri su oggetti fragili come questi devono essere più frequenti rispetto ad altri tipi di manufatti. Come altri grandi raccolte del genere meriterebbe più attenzione da parte dello Stato perché è una fonte straordinaria di insegnamento, oltre a essere la memoria di alcuni spettacoli leggendari nella cui visione d’insieme forse non ci si era resi conto fino in fondo della perfezione artigianale di ogni singolo costume. Ora lo si può fare, in mostra, con i corpi poetici e vuoti della poesia pasoliniana.