Esplorando la passione di San Paolo, Emmanuel Carrère scrive che la religione è narrazione. Domani sera il pallone, ultima rappresentazione sacra dei nostri tempi, ci regala il solenne scontro al vertice tra la capolista Napoli, otto vittorie su otto, e l’inseguitrice Inter, un pareggio. La passione questa volta è del San Paolo, inteso come stadio, tutto esaurito. Il racconto quello di un Napoli che torna da Manchester suonato sul campo ma rinfrancato nello spirito. «Mai incontrato, né da giocatore né da tecnico, una squadra forte come questa», concede il giovane maestro Guardiola all’anziano allievo Sarri. Ora di fronte l’ostacolo più difficile: l’Inter, squadra riposata, che per tutta la settimana ha lavorato solo sul match di domani. Senza Insigne, adduttore, e senza il lungodegente Milik, si scopre corta la coperta del Napoli, che una volta di più dovrà sopperire col gioco alla rosa, con la fede alla ragione. Nella liturgianerazzurra emerge invece la figura di Spalletti, cristologica come quella di Mourinho. Con la squadra limitata nelle possibilità di variare, e un gioco che non decolla, si scatena in pirotecniche conferenze stampa, attirando su di sé culti e sacramenti. E proteggendo così i giocatori. La guerra di religione tra gli adepti del profeta stoico e dell’oratore ieratico è alla sfida decisiva. Ne approfitterà, in un modo o nell’altro, una Juventus che in campionato è reduce dal pari con l’Atalanta e dalla sconfitta con la Lazio, e che in Champions ha vinto, parole di Allegri, la «peggior partita degli ultimi tempi».

I bianconeri giocano a Udine, campo storicamente amico. L’ultima volta ci hanno perso nel 2010. Nonostante il centrocampo sia ancora ingolfato, con tutto il potenziale offensivo a disposizione il turno è a loro favore. Molto più difficile la trasferta della Roma a Torino, con i granata che non giocano male, anche se poi pareggiano sempre. I giallorossi, reduci da una lezione di calcio data in Champions al Chelsea di Conte, al dunque (Inter e Napoli) steccano. Al Napoli, e solo al Napoli avendo battuto Milan e Juve, si è arresa anche la Lazio, vera sorpresa di questa parte iniziale campionato. Il team di Inzaghi ospita un Cagliari dismesso e dimesso, che in settimana ha esonerato Rastelli. Primo cambio in panchina in Serie A dopo l’ottava giornata, contro i tre dello scorso anno e i cinque-sei cui eravamo abituati. Gli allenatori fanno meglio? Forse no. Probabilmente mancano i soldi per i cambi in corsa. E se per Baroni (il Benevento ospita la Fiorentina), Bucchi e Semplici (Sassuolo e Spal nel derby emiliano), Pecchia (Verona a Chievo nel derby scaligero) non è ancora suonata la campana è solo perché c’è un livellamento verso il basso. E nella lotta per non retrocedere saranno interessate una decina di squadre.

Certamente non il Milan, che però messo tanto bene non è: 3 sconfitte consecutive, 4 in 8 partite, 12 punti dal Napoli e 7 dalla zona Champions. Fa ridere che molti quotidiani sportivi scrivano del Congresso del Partito Comunista Cinese in corso come decisivo per le sorti rossonere. È un atto di fede. Il Milan per adesso è cinese tanto quanto la signora Nicla Crocitto, casalinga di Segrate, era proprietaria di Milano 2. Ma siccome la religione è racconto, l’importante è non parlare più di tre alla volta, altrimenti il pubblico non capisce. E soprattutto crederci.