Era ormai nell’aria da settimane, ieri è diventato ufficiale: le forze del Governo d’Accordo nazionale (Gna) di Tripoli hanno conquistato la base aerea di al-Watiya, dando un nuovo duro colpo all’autoproclamato Esercito nazionale libico (Enl) del generale Haftar.

La presa della base è avvenuta dopo giorni di incessanti bombardamenti da parte dei droni turchi che hanno messo fuori uso i sistemi di difesa aerei dell’Enl (tra cui quello russo Pantsir). Poi ieri la definitiva conquista senza però ulteriore spargimento di sangue e, secondo fonti libiche, dopo una trattativa tra le due parti che avrebbe permesso agli uomini di Haftar di ritirarsi senza subire ulteriori perdite.

La soddisfazione è tanta nella capitale: al-Watiya (140 km da Tripoli) è stata un centro logistico importante per l’Enl nela sua offensiva contro il Gna. Conquistare i cieli libici – grazie al fondamentale contributo turco – non solo ora limiterà l’azione militare di Haftar, ma consentirà più facilmente al governo tripolino di rendere più efficace la sua riconquista della strategica città di Tarhuna e degli avamposti dell’Enl a sud di Tripoli.

Che l’inerzia del conflitto ormai penda verso il Gna del premier al-Sarraj è evidente: da assediati, le sue forze sono ormai assedianti. Haftar, che nelle ultime settimane ha perso la fascia costiera della Tripolitania (nord ovest), è ormai in palese difficoltà: il suo autoproclamarsi «rais di Libia» a fine aprile è stata mossa fallimentare e inutilmente vanagloriosa.

In un comunicato, il premier al-Sarraj ha provato a calmare gli animi: «Abbiamo compiuto un passo verso il giorno della grande vittoria: la conquista di tutte le città libiche e la sconfitta della tirannia che minaccia la speranza dei libici di costruire uno stato di diritto».

Mohammad Amari Zayd, membro del Consiglio presidenziale libico di Tripoli, è stato però più esplicito quando ha ammonito «dall’aderire a qualsiasi operazione politica che possa rappresentare un’ancora di salvezza per il criminale di guerra Haftar e il suo progetto». Conscia di avere la vittoria in pugno grazie al notevole sostegno turco, Tripoli ora vuole imporre le sue condizioni: nessun negoziato con il generale cirenaico indebolito.

La guerra civile continua anche perché dall’estero continuano ad arrivare armamenti. Sebbene abbia aderito all’embargo alle armi dando il suo ok alla missione navale europea Irini e si sia fatto promotore lo scorso gennaio a Berlino del vertice internazionale per la pace in Libia, il governo tedesco l’altro giorno ha ammesso che tra il 20 gennaio e il 3 maggio scorso ha venduto armi ai paesi coinvolti nella guerra in Libia per un valore di 331 milioni di dollari.

Vendite bipartisan per non scontentare nessuno: sia all’Egitto (308,2 milioni di euro) e ai suoi alleati emiratini (7,7 milioni) che ai loro nemici turchi (15,1 milioni). Al di là dell’affettato pacifismo, la barbarie libica è anche made in Europe.