Una pioggia battente che per 72 non ha mai smesso di precipitare, i canali di scolo di epoca borbonica, che scorrono dalle falde del monte fin dentro i paesi, abbandonati all’incuria: così si è prodotta il 5 maggio 1998 l’alluvione di Sarno. Due milioni di metri cubi di fango si staccarono dalle pendici del monte Pizzo d’Alvano investendo i centri abitati circostanti, Quindici, Siano, Bracigliano, Episcopio e San Felice a Cancello, a cavallo tra le province di Salerno, Avellino e Caserta. I morti alla fine saranno 160, 137 nella sola Sarno. A due giorni dalla «colata nera» si contavano 3mila sfollati e una violenta polemica perché l’assessore regionale all’Ambiante dell’epoca aveva allertato i sindaci della «possibilità di eventi catastrofici» via fax alle 3 di notte, sette ore dopo l’inizio della frana.

FU UN EVENTO eccezionale ma non imprevedibile: il Comitato tecnico per l’emergenza Campania aveva già messo per iscritto che il territorio aveva «una fragilità intrinseca» ed «elevate probabilità di situazioni di crisi» elencando poi una serie di catastrofi a partire dal 1899. La zona di Sarno, in particolare, aveva subito diverse alluvioni tra il 1915 e il 1989.

«È stata una tragedia immane, innescata da eventi meteorologici di portata eccezionale, tuttavia favorita e ingigantita da uno sconsiderato sfruttamento del suolo, da incuria e superficialità nell’affrontare i pericoli derivanti dall’assetto idrogeologico»: sono le parole del presidente della repubblica Sergio Mattarella, che ieri ha inviato un messaggio ai sindaci dei comuni coinvolti nell’alluvione di venti anni fa, comuni dove ieri si sono tenute manifestazioni commemorative.

LEGAMBIENTE HA TIRATO le somme di quell’esperienza nel dossier Fango – il modello Sarno vent’anni dopo: sono stati investiti 400 milioni di euro (due volte e mezzo la spesa prevista) per realizzare una rete di circa 20 chilometri di canalizzazioni e 11 enormi vasche di raccolta per prevenire nuove tragedie, opere che oggi «sono senza manutenzione e ostruite da fango, terreno e rifiuti di ogni genere». Il disastro poi non ha fermato l’abusivismo edilizio: nella sola Sarno sono state presentate, dopo il 1998, oltre 6mila richieste di condono. Nei comuni della zona 27mila le persone denunciate in venti anni, 24.420 le richieste di sanatoria.

«SARNO HA INSEGNATO poco o nulla – commenta Legambiente – a un paese dove smottamenti ed esondazioni interessano l’88% dei comuni, 7.145 classificati a elevato rischio». Solo per fronteggiare i danni provocati da questi eventi estremi, tra il 1944 ed il 2012, sono stati spesi circa 61,5 miliardi di euro.

Legambiente sottolinea poi che le piogge cadute in quelle ore da sole non bastano a spiegare il disastro prodotto: a peggiorare la situazione furono gli incendi sulle montagne nell’area di Sarno (nel censimento del 1990 fu registrato un calo della superficie boschiva rispetto a otto anni prima del 13,4%), ma anche il fatto che i canali di impluvio della montagna erano quasi completamente scomparsi a causa dell’incuria. A. Po.