Per chi da più di un decennio è stato in minoranza, sentirsi potenziale maggioranza è una sensazione strana, che riporta alle origini. Girando per il congresso della Fiom di Riccione e pensando a quanto successe nella vicina Rimini nel 2014, si ha la sensazione che siano passati secoli. Nelle pause, nei corridoi, a pranzo, è tutto un parlare di quello che sta succedendo in Cgil: «Hai sentito l’ultima? Colla si candida», «Vanno alla conta», «Maurizio deve stare attento, non deve fidarsi».

L’OTTIMISMO PERÒ PREVALE: «Vedrai che ce la facciamo», «Basta anche un voto in più ed è fatta». E c’è perfino chi chiede informazioni alla stessa Susanna Camusso, arrivata ieri. Parlerà oggi. Quattro anni fa il suo discorso fu fischiato. Oggi sembra a casa.

LA CORSA di Maurizio Landini verso la guida della Cgil è una corsa collettiva. Ognuno dei 790 delegati la vive come propria, come una forma di riscatto «per quello che abbiamo passato», commenta Francesco Percuoco, ex di Pomigliano dopo essersi rivisto nei filmati proiettati sul mega schermo che ricordano i giorni del referendum di Marchionne, della vittoria alla Corte Costituzione e il ritorno in fabbrica. «La discriminazione non è finita: siamo tornati a 400 iscritti, un risultato eccezionale. Ma fare uno sciopero è ancora difficile- ricorda dal palco Stefano Birotti – . Il casino è nato a Pomigliano e a Pomigliano deve finire, dobbiamo ringraziare Maurizio che c’è stato vicino fin dall’inizio. Incrociamo le dita e da buoni napoletani facciamo gli scongiuri», conclude tra gli applausi.

L’IDEA DI UNA FIOM come «sindacato indipendente» di Claudio Sabatini rivive nelle lotte dei e per i migranti, nell’ascolto di chi lotta nei Cas e negli Sprar, chi accoglie, chi denuncia la situazione di Riace e nella vicina «tendopoli piena di 4mila schiavi» di San Ferdinando a Reggio Calabria.

E ANDANDO ANCORA A RITROSO, Bruno Trentin, segretario della Fiom prima che della Cgil, l’ultimo finora a farlo nell’ormai lontano 1988 quando diceva: «C’è bisogno che il sindacato dia credibilità e certezze ai lavoratori e che lanci ai giovani che vogliono cimentarsi con questa prova il messaggio che il nostro non è un mestiere come un altro, ma può essere una ragione di vita».

LA FIOM CHE NACQUE molto prima della Cgil – il 16 gennaio 1901 – e che fu la sua principale categoria fino al superamento del terziario sull’industria – ora quasi doppiata per numero di iscritti dalla Filcams del commercio e turismo – è vicina a tornare in maggioranza – anche se c’è chi sostiene che «è sempre stata maggioritaria» – e ad avere un proprio leader a testa della confederazione.

SE COSÌ SARÀ, IL MERITO è da attribuire alla lotta cominciata a Pomigliano che, “grazie” soprattutto a Renzi, ha portato la Cgil a decidere di cambiare, di riunificarsi, di dar vita alla Carta dei diritti per rendere tutti i lavoratori uguali a prescindere dal contratto. E a lanciare la battaglia contro il Jobs act e i primi referendum abrogativi della sua storia.

Ma come ha sottolineato Francesca Re David – che di Landini è stata una sorta di ministro degli esteri – la lotta dei metalmeccanici non è finita, a prescindere da quello che succederà a Bari a fine gennaio, al congresso. La nuova sfida è arrivare ad un contratto unitario in Fca e ad un nuovo contratto nazionale – fra sei mesi partiranno le piattaforme – che sia ancora più innovativo e garantisca un aumento salariale più forte.

L’ALTRA SFIDA riguarda il rapporto col governo gialloverde. I tanti delegati italiani neri denunciano il «razzismo strisciante» e, al netto dei voti a Lega e M5s di parecchi operai, c’è chi, come Dario Salvetti da Firenze, sottolinea che «se fra noi c’è qualcuno che vota Lega è un problema».

QUANTO AL M5S il rapporto sta diventando ugualmente critico. La richiesta a Di Maio di ripristinare l’art. 18 dello statuto dei lavoratori viene ora superata dall’attualità degli effetti del Decreto Dignità. La riduzione della durata massima dei contratti a tempo e del numero dei rinnovi sta portando «molte aziende a chiedere di derogare al bacino dei precari (non prendi altri lavoratori, devi stabilizzare quelli che hai) o ai contratti di prossimità». Il tutto porta a guardare ai vicini d’Oltralpe. «Senza tornare al conflitto anche qui arriveranno i gillet gialli e non dovremo sorprenderci», chiude Salvetti. Un «conflitto» evocato anche da Vittorio De Martino, segretario del Piemonte, ex delegato Fiat. Insomma, la Fiom sarà anche in maggioranza, ma rimane un sindacato conflittuale.