Quello di Renzi è «un governo conservatore che spara un colpo alla nuca di ciò che resta della civiltà del lavoro». Nichi Vendola pesca a piene mani dal suo canestro di parole perché, spiega, «siamo arrivati a un punto di svolta», «il dibattito sull’art. 18 è una linea di demarcazione che riguarda identità, orgoglio e senso stesso della parola sinistra. Quando la sinistra diventa asociale è meglio chiamarla destra». Lancerà questa proposta alla manifestazione di domani a Roma. In mattinata la formalizzerà alla direzione del partito: «Mettiamo Sel a disposizione, come uno strumento, un lievito, un terreno di incontro per una parte del Pd, i movimenti, le associazioni della sinistra diffusa e del sindacato»,per combattere insieme l’agenda economica del governo Renzi. Con il manifesto Vendola è ancora più esplicito: è «l’inizio di un percorso con un futuro più lungo» e la richiesta «a tutti di fare una battaglia vera, di portarla fino in fondo».

Vendola, prepara un nuovo big bang a sinistra?

La mia proposta è lavorare per una coalizione dei diritti e del lavoro, che abbia la capacità di rendere sempre più stretto il legame fra i diritti sociali e i diritti civili.

È un invito alla sinistra Pd a uscire dal partito? Tutti, o quasi, hanno già detto che saranno fedeli ’alla ditta’, per dirla con Bersani.

Bersani sta facendo la sua lotta politica nel suo partito. Da altre parti si legge anche altro. Non intendo interferire nelle questioni interne al Pd, ma mi rivolgo a tutti quelli che sanno che siamo a un giro di boa della storia e della cultura di questo paese. Propongo di costruire qualcosa di nuovo, non di assembleare le schegge sconfitte della sinistra.

Allora èun invito a Pippo Civati, che sarà sul palco con lei?

Tutti coloro che dal Pd muovono una critica radicale al renzismo e alla deriva a destra di questo governo sono interlocutori preziosi. Propongo loro di lavorare insieme, anche da diverse postazioni. Non li voglio iscrivere a Sel, metto a disposizione Sel per costruire qualcos’altro. Sel non vuole stare in prima fila, ma accanto a tutti coloro che si sentono impegnati in un processo indispensabile al paese, non al ceto politico.

Concretamente questa ’coalizione’ cosa farà?

Intanto il 4 ottobre facciamo un’iniziativa insieme, con persone diverse, proprio perché nella sinistra ci sono tante cose, tante idee, tante testimonianze. Hanno il difetto di essere sparpagliate, frammentate, a volte in sonno da troppo tempo. Si tratta di riaggregarle in un progetto che non abbia nessuna torsione minoritaria e testimoniale, lontano dalla trappola per cui o c’è il governismo o c’è il minoritarismo. Rimettiamo in campo le forze che parlino il linguaggio di una sinistra moderna, che non si sente custode di nessuna ortodossia ma che sia protagonista di un cambiamento.

’Cambiare’ è un verbo renziano, ormai.

Dobbiamo liberare questa e altre parole dalla retorica mistificante del renzismo. Mando una lettera a Renzi: “Caro Matteo, c’era un tempo in cui quando si diceva ’riforma’ si parlava di qualcosa che migliorava le vite: pensa al diritto di famiglia, alla riforma sanitaria, a quella psichiatrica. Oggi quando si evoca la parola riforma si parla sempre e solo di qualcosa che ti spoglia di un diritto”.

Renzi promette che il jobs act darà diritti e tutele a chi non li ha.

Renzi dice tutto e il contrario di tutto, è un caleidoscopio di slogan. Sta con Hollande ma anche con Cameron. Dice a Merkel ’non trattarci come scolaretti’ ma poi come uno scolaretto dice ’rispetteremo il 3 per cento’.

Parlava delle «schegge sconfitte della sinistra». Si riferisce alla Lista Tsipras? Vi sentite ancora impegnati in quel percorso?

Credo che quell’esperienza sia stata positiva dal punto di vista della mobilitazione e delle energie, soprattutto quelle giovanili. È stato un segnale di cambiamento. Ha corrisposto a un sentimento e a un bisogno che c’era in una parte dell’elettorato. Purtroppo la sua seconda vicenda, quella dopo il voto, non mi pare che brilli. Neanche dal punto di vista di come marca la scena del parlamento europeo. Ma continuo a considerare quell’esperienza un’importante semina per la sinistra.

Alla riunione della direzione del Pd D’Alema ha quasi rivendicato il referendum per allargare dell’art.18. Era il 2003, gli allora Ds – come lui – fecero campagna contro. Che impressione le fa?

Io ho partecipato a quella campagna per estendere le tutele a tutti. E ancora oggi penso che nonostante non si sia superato il quorum, il dato dei voti – quegli 11 milioni per il sì – resta la più grande consultazione di massa, imparagonabile a un sondaggio pilotato o a un’attività di marketing e propaganda. Fu un responso straordinario, l’espressione di un diffuso sentimento di giustizia sociale. Forse la odierna devastante scena di intere generazioni di precari consente anche a D’Alema un utile ripensamento. Quando poi sento gli esponenti della nouvelle vague Pd parlare di art.18 come di un privilegio, rabbrividisco. Licenziamento senza giusta causa, quello che Renzi chiama «libertà degli imprenditori», vuol dire licenziare uno perché ha il cancro, o è gay, una donna perché è incinta. Il privilegio semmai è l’esercizio arbitrario di un potere. La nouvelle vague Pd culturalmente sta più a destra di Sacconi, il peggior ministro berlusconiano.

Sacconi lamenta che sull’art.18 il jobs act ora è troppo timido.

I diversamente berlusconiani battono un colpo per ricordare che sono un fondamento di questa maggioranza. E lo sono davvero. Anche il cronoprogramma dei mille giorni è scandito dalla destra: all’inizio c’è un colpo al cuore dei diritti sociali, in coda forse forse arriverà una parvenza di diritti civili.

Al senato Sel ha presentato oltre 300 emendamenti sulla legge delega.

Farete ostruzionismo?

Lo decideranno i nostri senatori. Io mi auguro di sì.

Fra qualche mese lascerà la presidenza della Puglia. C’è chi parla di un passo indietro, c’è chi dice che ha in testa di trasferirsi in Canada, patria del suo Eddy. Cosa farà davvero?

Farò il leader di Sel finché i miei compagni e le mie compagne me lo faranno fare. Ma non lo intendo come un incarico a vita. Quanto al Canada, è nel mio cuore, ma viverci è in contraddizione con la mia antropologia: sono una creatura mediterranea e ho bisogno del caldo e del mare.

Renzi vuole spianare la sinistra interna al Pd, e quasi quasi ce l’ha fatta. Spianerà anche voi?

Il ragazzo si sta impegnando molto, ma vedremo. Attraverso la retorica della rottamazione e le altre operazioni di tipo pubblicitario è riuscito a sostituire alla dialettica destra-sinistra quella vecchio-nuovo, veloce-lento. Sono categorie da letteratura marinettiana, tutte dentro un meccanismo di comunicazione veloce, superficiale e ferocemente giovanilista. Ma il giovanilismo non è una cultura di sinistra. E ’Giovinezza’ non è nel nostro repertorio musicale.