La maggioranza sardo-leghista che governa la Sardegna ha confermato, nei mesi scorsi, la volontà di dare la spallata al Piano paesaggistico regionale del 2006. Questa volta, però, nessuna sorpresa: Solinas & C. lo avevano annunciato continuamente, in ogni fase della campagna elettorale. Colpisce tuttavia il modo scomposto e pressapochista: la fretta di arrivare all’obiettivo nella totale noncuranza delle precauzioni richieste a chi è chiamato ad approvare leggi: l’obbligo di osservare la gerarchia del quadro normativo, il solco delle regole stabilite dalla Costituzione.

Ma l’obiettivo dello schieramento molto trasversale contro il Piano paesaggistico era, è, quello di provocare il cortocircuito. Una fase di disorientamento per consentire l’avvio di alcune imprese immobiliari brum-brum, a cui ne seguirebbero altre e altre ancora. Che la giostra parta, e poi si vedrà: ben venga chi sarà in grado di accomodarsi, spinga chi può – è la voce che giunge dai capannelli neoliberisti nei palazzi.

Nello sfondo c’è il costante auspicio del ciclo edilizio forever, la pressione nei confronti della politica perché lo favorisca rimuovendo quanto prima le regole ostiche, dando libertà alle più aggressive speculazioni pronte a dare il peggio. Lo sviluppo teorizzato da Confindustria sarda – essenzialmente palazzinara – è tutto qui, la difesa degli interessi di pochissimi: l’edilizia senza inibizioni contro il futuro delle nuove generazioni incardinato nella tutela dei paesaggi più preziosi; destinati a svanire se gli mancherà la materia prima.

La premura pasticciona di Solinas – tra spregiudicatezza e inconsapevolezza – risponde alle attese del via libera agli speculatori: nel totale disinteresse dell’ordinamento secondo il quale non è data alcuna facoltà alla Regione di invadere la sfera di una competenza legislativa dello Stato, secondo l’articolo 9 della Costituzione, nel caso in esame. Ma prevale la messinscena di un interesse incerto, che ha lo scopo di suscitare il consenso da parte degli speculatori più attrezzati a cui si somma il plauso di tanti che vorrebbero, chissà, fare casette nelle campagnette dappertutto.

La maggioranza sardista ispirata da Matteo Salvini ha azzardato nella strada scivolosa della scorrettezza costituzionale; e i ministeri dell’Ambiente e dei Beni Culurali lo hanno rilevato con linearità: da cui la recente decisione del Governo di impugnare la legge n. 21 /2020 della Sardegna, che consente l’interpretazione autentica del Piano paesaggistico regionale (in quanto l’articolo 1, riguardante il piano paesaggistico, viola gli articoli 9, 97 e 117, della Costituzione, che riserva alla competenza statale la tutela dell’ambiente e del paesaggio).

Una figuraccia che la Regione, avvisata da più parti, poteva evitare.

Solinas & C. hanno il diritto di procedere all’aggiornamento del Piano paesaggistico (anzi il dovere perché il Codice dei beni culturali lo richiede). La sfida per la Regione è appunto quella di imboccare la strada maestra. Farebbe bene ad andare avanti nella pianificazione congiunta con gli organi dello Stato, perché le scorciatoie introverse non sono ammesse dalla Costituzione – come si sospetta. Peraltro non è difficile intuire la irragionevolezza della libera interpretazione retroattiva del Ppr: un lasciapassare perpetuo per decisioni politiche estemporanee, nulla a che vedere con scelte tecniche di pianificazione da assumere mediante un’intesa Stato-Regione (gli sguardi vicini e lontani che s’intrecciano). D’altra parte le coste sarde sono beni paesaggistici nazionali.