Tempo fa un amico mi chiese se esistono ancora i pastori e se continuano a portare in giro le loro greggi. Certo risposi, ma quello che io non sapevo, invece, era che tra essi vi è un gran numero di donne. L’ho appreso dal documentario-film In questo mondo della regista Anna Kauber, vincitore, nel novembre scorso, del 36° Torino Film Festival come miglior documentario per la sezione Italiana.doc. La pellicola racconta la vita delle donne pastore con un’età che va dai 18 ai 102 anni ed è il frutto di una ricerca durata due anni. Tra i pregi di questo lavoro cinematografico vi sono anche le tante tematiche affrontate come la cura e il presidio delle montagne, oggi per lo più abbandonate, insieme alla custodia della biodiversità e il documentare un’antica attività qual è la transumanza. Fatto, quest’ultimo, che ha permesso che il documentario trovasse posto nel dossier curato dal Centro Interdipartimentale Biocult dell’Università del Molise per il Ministero per le politiche agricole e consegnato all’Unesco, l’anno scorso, per far sì che la transumanza venga inserita nel patrimonio culturale immateriale dell’umanità.

«Per realizzare questo documentario-film», racconta Anna Kauber, 60 anni, paesaggista, conoscitrice del mondo agricolo, scrittrice e regista che vive a Parma, «ho girato dal 2015 al 2017 l’Italia da nord a sud. Ho percorso più di 17 mila chilometri con la mia panda gialla, e quasi sempre in prima, su e giù per le montagne in quasi tutte le regioni italiane, unica esclusa la Liguria». Le donne che compaiono nel documentario-film sono 18, ma la Kauber ne ha intervistato un centinaio e per ognuna di esse ha documentato le varie attività lavorative e la quotidianità rimanendovi assieme due o tre giorni, condividendo con loro tutto. È stata testimone di una pratica di lavoro e di vita: il pascolo giornaliero e stagionale, la nascita degli agnelli, la tosatura e la mungitura degli animali, la lavorazione del latte e così via. Un numero elevato d’interviste reso possibile grazie alle segnalazioni ricevute attraverso i social da conoscenti, associazioni ed enti della presenza di donne che avessero un vero contato con gli animali e non che semplicemente aiutassero, per esempio, il marito nella preparazione dei formaggi.

«La presenza delle donne pastore, come racconta il mio documentario, sta trasformando«, ci tiene a precisare la regista, «le caratteristiche di questa antica cultura patriarcale in una nuova e, perché no, fruttuosa opportunità di lavoro e di vita. Parlando con loro, da donna a donna, ho preso coscienza di come questo mestiere appartenga al mondo femminile, proprio da interpretare in un senso di cura per i figli, per la casa, per gli animali e i pascoli. Restare in montagna si lega all’idea di un futuro migliore da garantire soprattutto alla famiglia». Questa sua ricerca del mondo della pastorizia femminile non poteva trovare una migliore ambientazione per la presentazione del documentario-film l’evento svoltosi a dicembre a Roma in collaborazione con l’associazione Donne in Campo della Cia e la Fondazione Nilde Iotti con le quali si è voluto indagare questo nuovo fenomeno che vede le donne tornare protagoniste in tanti settori e ancora di più nell’agricoltura e nelle aree interne del nostro Paese.

Nella pellicola le 18 pastore raccontano, nella loro coralità, come vivono la pastorizia. Per «Caterina, diplomata al conservatorio e per la quale la musica è molto importante, ha scelto questo mestiere», racconta Kauber, «perché con le sue pecore si sente realizzata». Oppure Maria Pia, che vive in Piemonte e che ho chiamato «la Sacerdotessa» per la sua forza e autorevolezza e che, dopo aver cresciuto i figli e lavorato in fabbrica, è riuscita a fare quello che, fin da piccola, era il suo sogno: la pastora vagante, sempre in giro con il suo gregge in cerca di erba e di pascoli. Di grande forza anche l’esperienza di Maria. Lei ha preso il posto del padre, pastore, nonostante il parere contrario della madre, della sorella, della piccola comunità del paese sul Pollino, in Basilicata, dove vive. Ed è felice, coi suoi animali, che, ci racconta, sono come bambini. Non posso poi non citare Zia Michela, la veterana di 102 di Orgosolo, in Sardegna, che parla del suo vissuto di «figlia, sorella, moglie, nipote di pastori».

«Verso queste donne ho un debito di riconoscenza», ci tiene a precisare Kauber, «perché mi hanno fatto sentire la malinconia del distacco e nel film si percepisce fortissima questa sensazione. La bellezza, la gioiosità di quello che abbiamo vissuto si trasforma in una velata tristezza e forse emerge anche la consapevolezza di quello che ci perdiamo, i paesaggi, l’aria pulita, il ciclo delle stagioni e quindi della vita. In altre parole ho documentato non un’Italia minore, ma migliore. Durante il mio viaggio ho visto anche interi paesi vuoti», continua Anna Kauber, «e la lotta delle donne pastore è una lotta da supportare perché interessa anche noi con la tutela della montagna; i danni ambientali e idrogeologici passano per l’abbandono e il dissesto di queste zone e di cui vediamo le conseguenze anche in pianura».