Giù le mani dalla nostra terra», «Via le basi militari»”, «No alla guerra Nato». Il grido del popolo della pace ieri mattina si è levato nelle strade del centro di Cagliari durante la manifestazione contro l’esercitazione Trident Juncture in corso a Teulada. Alla marcia di protesta, organizzata dalla Tavola sarda della pace, hanno aderito una quarantina di associazioni pacifiste, antimilitariste ed ecologiste. Sventolavano anche le bandiere del variegato arcipelago indipendentista sardo. Tra i partiti c’erano Sel, Rifondazione comunista e i Rosso mori (formazione nata da una scissione a sinistra del vecchio Partito sardo d’Azione). Assente il Pd.

Duemila persone hanno dato vita a un corteo che si è mosso alle 10 da Piazza Sonnino ed è arrivato sino al palazzo della Regione. Forte la protesta contro le manovre Nato a Teulada. Il poligono sardo ospita uno dei tre tronconi in cui si articola Trident Juncture: in Spagna sono addestrate le truppe di terra di trenta diversi paesi, in Portogallo quelle di mare e in Italia – a Teulada appunto – si svolgono le esercitazioni aeree. Circa ventiseimila i soldati impiegati. Ma gli slogan scanditi ieri durante il corteo avevano anche un altro bersaglio: la presenza massiccia di servitù militari in Sardegna (l’isola ospita circa il 50% del totale nazionale).

L’obiettivo della chiusura o almeno di una drastica limitazione delle aree occupate dai militari è da decenni al centro dell’azione dei movimenti pacifisti sardi. Due le servitù maggiori: la base di Quirra e quella di Teulada. Su quanto accaduto nella prima, la magistratura ha aperto un’inchiesta in cui sono coinvolti alti gradi dell’esercito con l’accusa di disastro ambientale. Non diversa, dal punto di vista della devastazione ambientale creata dai giochi di guerra, è la situazione nella seconda. Da sempre e anche ieri – di fronte al palazzo della Regione dove si è sciolta la manifestazione – all’esecutivo sardo i gruppi pacifisti chiedono maggiore determinazione.

Il presidente della giunta di centrosinistra, Francesco Pigliaru, nelle scorse settimane, prima dell’inizio delle esercitazioni a Teulada, ha rinnovato la richiesta al governo di una riduzione della presenza militare nell’isola. Il ministro della Difesa ha risposto che le basi sarde sono strategiche: impossibile farne a meno se non si vuole compromettere l’efficienza delle truppe italiane impegnate nelle missioni all’estero già in corso e in quelle future. E poi ci sono gli impegni internazionali da onorare.

Trident Juncture non è un’esercitazione qualsiasi. È il primo stadio di un percorso organizzativo che porterà alla nascita di una nuova struttura operativa Nato, una forza di pronto intervento da impiegare nel teatro europeo (crisi Ucraina) e in Nord Africa. Al presidente Pigliaru viene davvero in salita chiedere al governo Renzi di mettere in discussione gli accordi presi con gli alleati atlantici e sanciti solennemente a Bruxelles lo scorso anno. E infatti non lo fa. Dalla giunta regionale non è arrivata alcuna richiesta di annullare le esercitazioni. Pigliaru si è limitato a ricordare che la riduzione delle servitù è uno dei punti del suo programma e che in questa direzione continuerà a muoversi facendo pressione sul governo nazionale. Ma, come s’è visto, da Roma non arrivano segnali incoraggianti, e a quasi due anni dall’insediamento della giunta di centro sinistra niente di concreto è stato ottenuto.

Questo provoca non poco imbarazzo in Sel, alleato di Pigliaru. L’altro ieri, alla vigilia della manifestazione, Michele Piras, parlamentare sardo del partito di Vendola, ha chiesto al presidente di intervenire in maniera convinta ed energica. «Trident Juncture – ha detto Piras – è un’ulteriore pagina della rapsodia di guerra che la Nato continua a suonare dal crollo dell’Urss a oggi. Le scelte dell’Alleanza atlantica stanno alla base dell’attuale stato di tensione fra Ucraina e Russia e nel medio e vicino Oriente. Trident Juncture è la storia che si ripete sotto forma di farsa, un’anacronistica manifestazione muscolare, davanti al mondo intero, per scoraggiare ogni disallineamento, ogni via autonoma alla democrazia».