In una giornata nera per la giunta sardo-leghista, le notizie sono due. La prima è che, dopo i rilievi trasmessi a giunta e consiglio regionale della Sardegna quasi due settimane fa, il governo ha impugnato la legge voluta da Christian Solinas, ex senatore leghista oggi presidente della Regione, che ripristina le otto vecchie Asl precedenti la riforma approvata, nella scorsa legislatura, dalla giunta di centrosinistra guidata da Francesco Pigliaru che aveva istituito un’unica Azienda sanitaria regionale. È il caos normativo, in piena pandemia. Ma la responsabilità è della giunta. Tre gli articoli «incriminati»: l’11, il 13 e il 47 che riguardano rispettivamente la nomina dei direttori generali nelle aziende sanitarie, gli elenchi regionali degli idonei alle cariche di vertice aziendali e la nomina dei commissari straordinari. Secondo il consiglio dei ministri, questi articoli «invadono la competenza concorrente statale».

Il rischio di impugnazione era stato ventilato già in aula dal capogruppo del Pd Gianfranco Ganau, ma la maggioranza aveva tirato dritto. Ora arrivano le reazioni dell’opposizione. «Come previsto la legge moltiplica-Asl è stata impugnata – dice il capogruppo dei Progressisti Francesco Agus – Era scontato: lo avevamo detto in tutti i modi, ma non siamo stati ascoltati. D’altronde, cosa avrebbe potuto rispondere la giunta dell’unica Regione al mondo capace di fare una riforma sanitaria durante una pandemia? Adesso, a una situazione già critica per i tanti errori fatti nella gestione dell’emergenza Covid si aggiunge l’incertezza addirittura riguardo alla titolarità a compiere azioni da parte di chi dirige le aziende sanitarie istituite da Solinas». Di fatto, tutti i dirigenti sanitari che oggi operano sul fronte del contagio sono illegittimi.

La seconda notizia del black day sardo-leghista è che l’assessore alla sanità Mario Nieddu, già nel mirino per la sua gestione della pandemia, stavolta l’ha combinata davvero grossa. Intervistato nel suo ufficio da un giornalista di Piazza Pulita, alle domande scomode ha perso il controllo. Prima ha invitato il cronista ad andarsene. Poi, quando quello ha continuato a incalzarlo, ha chiamato la sicurezza. Nel servizio, andato in onda l’altro ieri sera, si vede il buttafuori di Nieddu che spintona il giornalista e minaccia di spaccargli la telecamera sulla testa prima di farlo uscire con la forza fuori dell’ufficio.

Protestano l’Associazione della stampa sarda e l’Ordine: «Il cronista che fa domande, l’assessore che lo caccia via e una terza persona, la cui presenza è tollerata dall’assessore, che minaccia di spaccare la telecamera sulla testa dell’inviato. Davanti alle domande di un reporter chi ha un ruolo pubblico può scegliere di rispondere oppure di tacere, ma non di espellere in malo modo un operatore dell’informazione che lavora per garantire il diritto dell’opinione pubblica a essere informata. Un atteggiamento inaccettabile, esattamente come lo fu, a suo tempo, l’imposizione da parte di Nieddu del bavaglio disciplinare agli operatori della sanità che intendevano rendere conto alla stampa dei problemi della lotta alla pandemia. Condanniamo l’episodio e ricordiamo che le telecamere sono oggetti fragili e costosi, mentre le teste dei giornalisti generalmente sono piuttosto resistenti, ma costano infinitamente di più».

Contro Nieddu anche Emanuele Cani, segretario regionale del Pd: «L’episodio non fa che chiudere il cerchio davanti a un atteggiamento sempre più irrispettoso della giunta verso i giornalisti. Il presidente della Regione nega interviste, non risponde alle domande e rilascia solamente comunicazioni senza contraddittorio. Tutto questo non può essere accettato. Il Pd sardo manifesta piena solidarietà ai giornalisti e condanna ogni forma di comportamento antidemocratico».