Ancora oggi le suffragette inglesi che si sono battute per il voto alle donne «vengono dipinte come donne della buona società, spesso un po’ frivole», osserva la produttrice di Suffragette Faye Ward. In uscita oggi nelle sale italiane, il film di Sarah Gavron sfata in primo luogo proprio questo pregiudizio, raccontando la storia di una donna della working class londinese interpretata da Carey Mulligan, la sua presa di coscienza e adesione al movimento pagata a caro prezzo.

Nella lunga fase di preparazione e documentazione per la scrittura del film, la regista racconta infatti di come lei, Ward e la sceneggiatrice Abi Morgan si siano imbattute in «moltissime lettere e diari di suffragette proletarie che dimostrano come fossero proprio loro a battersi più duramente di tutte, visto che erano quelle che avevano più da perdere».

Altro elemento fondamentale per la ricerca alla base del film, racconta la produttrice, è stata l’apertura degli archivi della polizia inglese nel 2005, che ha consentito di consultare e studiare «la struttura di sorveglianza imbastita per controllare e punire queste donne».
Molti dei personaggi sono ispirati a persone realmente esistite, a cominciare proprio dal commissario di polizia interpretato da Brendan Gleeson, che «fa rispettare la legge ma allo stesso tempo comincia, dentro di sé, a metterla in discussione», dice Gavron.

Anche la relazione di una delle leader del movimento nella East London, interpretata da Elena Bonham Carter, con il marito che supporta la sua lotta affonda le radici nella realtà: «ci siamo ispirate a tre coppie dell’epoca con caratteristiche simili». Il marito della protagonista, invece, esprime a detta della regista «la condizione maschile intrappolata nei pregiudizi sociali, per cui avere una moglie che viene mandata in prigione per motivi politici significa venire emarginato dalla propria comunità».

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Ma Suffragette, ci tiene a puntualizzare Sarah Gavron, non è un film in costume: è nato con l’intenzione di affrontare temi ancora molto urgenti nel ventunesimo secolo, «in cui i due terzi degli analfabeti mondiali sono donne, una ragazza su tre solo in Inghilterra ha subito violenze e sono tantissime le donne che ancora non vedono rispettati i propri diritti fondamentali».

L’intento è ovviamente anche quello di tenere viva la memoria per le nuove generazioni dato che, come ricorda ancora la regista, solo di recente quelle battaglie sono entrate nei testi scolastici inglesi. «Molti giovani, e soprattutto giovani donne – continua Gavron – non vanno a votare in Inghilterra, e per questo i loro diritti sono meno tutelati, come nel caso dell’innalzamento del costo degli studi». È dunque bene ricordare che l’introduzione del suffragio universale ha rapidamente portato, tra le altre cose, a legiferare «sui diritti delle madri nei confronti dei figli, su quelli delle donne a gestire i loro soldi e così via».

Alla realizzazione del film ha preso parte anche Helen Pankhurst, bisnipote della leader del movimento delle femministe inglesi Emmeline, mentre Helena Bonham Carter «ha anche lei una relazione genetica con quelle battaglie»: il bisnonno è infatti l’ex primo ministro Herbert Henry Asquith, «arcinemico» delle suffragette. «Quando abbiamo girato le manifestazioni fuori dal parlamento – ricorda Gavron – entrambe quelle famiglie, un tempo avversarie, si sono ritrovate e riunite».