«Un mostro sacro». Nel corso del tempo sono molti gli artisti ai quali questa definizione è stata attribuita con tanta disinvoltura. Ma quanti sono quelli che possono vantare d’esserne gli ispiratori? Una sola. Sarah Bernhardt (1840-1923), di fronte alla cui modernità Jean Cocteau fu costretto a immaginare persino una nuova figura mitologica, solo per lei. Perché Sarah Bernhardt, la Divina, non fu solo una tra le più grandi attrici del suo tempo, ma un tornado che visse mille vite e che a cent’anni dalla morte ispira ancora la nostra epoca.
Quale miglior luogo, quindi, se non il parigino Petit Palais, creato in occasione dell’Esposizione universale del 1900, per consacrare una mostra a una delle figure più emblematiche della Belle Époque: Sarah Bernhardt. Et la femme créa la star (fino al 27 agosto).
Da tempo, oramai, quest’importante istituzione parigina dedica parte delle proprie esposizioni temporanee alla ricostruzione meticolosa di un’epoca di cui è il tempio, attraverso la riscoperta dei suoi principali protagonisti, secondo un approccio che è certo artistico, ma anche e soprattutto sociologico. Perché è grazie a Parigi che in quest’epoca la modernità mette il piede sull’accelleratore.
E per Sarah Bernhardt la modernità non può che declinarsi al plurale. Attrice virtuosa, al punto da ispirare Proust per la sua Berma della Recherche, cittadina engagée nella difesa del capitano Dreyfus, al capezzale dei feriti della Grande Guerra, intrepida direttrice di teatro, scultrice, pittrice, imprenditrice, perfino creatrice di gioielli surrealisti ante litteram. Oggi Sarah Bernhardt si definirebbe un’influencer, con la differenza che lei le tendenze le creava.
Grazie a una scenografia avvolgente, sul principio delle period rooms, la mostra ci introduce nel ventre dell’universo-Bernhardt. Attraverso un percorso al contempo cronologico e tematico in dodici «atti», l’attrice sembra accogliere i visitatori della mostra nell’intimità del suo mondo: nel foyer d’un teatro, nel suo salone-atelier, nelle alcove dei suoi amori, nelle sartorie più celebri di Parigi, il tutto ricostruito con ossessione quasi investigativa (mobili, abiti, decori, tutto sembra ritrovare nell’allestimento la sua collocazione d’origine) e gusto caleodoscopico che ben riflette l’esprit du temps e che contribuisce alla narrazione del mito.
Eppure nulla predestinava questa donna a un tale destino. Nata a Parigi nel 1840, Sarah Bernhardt è figlia e nipote di courtisanes, espressione elegante per indicare sotto il Secondo Impero prostitute alla direzione di salotti frequentati dall’alta borghesia napoleonica. È in questo strano giardino d’infanzia che la piccola Sarah muove i suoi primi passi, impara a parlare e a osservare, almeno fino ai setti anni, quando la madre comincia a trovare la sua presenza ingombrante. La piccola sarà inviata dai nonni nella profonda e cattolicissima campagna bretone, senza ottenere però, a quanto pare, il risultato sperato. Ricomparirà infatti a Parigi oramai giovane donna con un carattere deciso e le idee ben chiare: nessun matrimonio, nessuna dipendenza da un uomo, libertà. Di pensiero, d’azione. Sarah è bella, di una bellezza non convenzionale, talvolta androgina, moderna; il volto spigoloso, la capigliatura fulva e riccia, la sua particolare fisicità corrispondono perfettamente all’estetica simbolista e art nouveau del tempo. Sarah declama, interpreta, gioca, soprattutto nell’accezione francese del termine jouer, recitare. Grazie all’aiuto di una conoscenza della madre, potrà iscriversi al Conservatorio di teatro di Parigi dove sarà notata e ingaggiata dalla prestigiosa Académie Française. Un trampolino inaspettato ma non senza intoppi. Arrivano i primi ruoli, tutti riccamente documentati in mostra, cha vanno dal repertorio classico alle produzioni più leggere ma che, per quanto acclamati, non sembrano tagliati per lei. «Mademoiselle révolte», come viene definita dai colleghi, non resiste a lungo. Si annoia e non vuol subire il rischio dell’insuccesso per via di un errore di casting; vuole poter scegliere, ancora una volta. E se ne va.
Nel 1869 passa così alla concorrenza, al Teatro dell’Odeon, dove nasceranno alcune tra le sue interpretazioni più celebri (Teodora, Tosca, La signora delle camelie), talvolta anche maschili (sarà la prima donna a interpretare il ruolo di Amleto, anche al cinema), e le prime trasformazioni fisiche (una per tutte, il celebre e triste Pierrot immortalato da Nadar). Nasce cosi il personaggio «della Bernhardt» – oramai diretta rivale dell’altra star del tempo, «la Duse» – celebre per le sue famose scene d’agonia di forte pathos, spesso accompagnate da decori e costumi degni dei più grandi colossal storici hollywoodiani.
La sua voce magnetica (ascoltabile in mostra grazie a quelche rara registrazione d’epoca), la silhouette longilinea, insolita per quel tempo, affascinano sia il pubblico che il mondo letterario che gli vota un vero culto. Diventa l’amica d’Edmond Rostand, di Sacha Guitry, di Victor Hugo. Frequenta i pittori Gustave Doré, Alfred Stevens, Bastien-Lepage, e soprattutto Louise Abbéma e Georges Clarin con i quali costituisce una sorta di famiglia allargata molto ‘chiacchierata’, un clan di fedelissimi con il quale dà vita a una versione tutta francese del dandysmo. Louise e Georges sono in qualche sorta i veri agiografi di Sarah; nei loro dipinti, regolarmente esposti ai salons parigini, l’attrice è colta in numerosi momenti sia pubblici che privati, imponendosi come un’icona di stil: si veda a proposito il bellissimo ritratto in vestaglia orientalista eseguito da Clarin, oggi di proprietà del Petit Palais. Del resto le grandi marche dell’alta moda francese nascente non tarderanno a contendersi la sua immagine, sempre più imitata e idolatrata anche grazie alle sublimi affiches realizzate da Alfons Mucha per i suoi spettacoli, ma di cui l’attrice saprà mantenere sempre il controllo.
Troviamo qui una delle tesi cruciali della mostra, ovvero il contributo dell’artista alla nascita dello star system moderno, che di lì a qualche anno troverà il suo apogeo nell’industria cinematografica, basato sempre più sul culto della personalità e sul feticistico rapporto tra l’artista, divenuto oramai personaggio, e il suo pubblico. Sarah Bernhardt è senza alcun dubbio la prima star della storia. Gli innumerevoli oggetti di culto esposti in mostra, talvolta veri tesori dell’art nouveau, contesi dai fans e conservati come delle reliquie, lo confermano. Questo mercato, fatto di veri e propri prodotti di consumo culturale, sembrano anticipare quella «societé du spectacle» che mezzo secolo più tardi Guy Debord criticherà con tanta ferocia.
Se all’inizio del percorso espositivo il titolo della mostra sembra un semplice e giocoso clin d’oeil a un altro mito femminile del XX secolo– quello di Brigitte Bardot divinizzata da Roger Vadim nel film Et Dieu… crea la femme –, il suo senso evolve progressivamente. Infatti, come si evince chiaramente dalla mostra, sarebbe molto riduttivo e certamente fuorviante confinare la figura di Sarah Bernhardt a quella di un’inerte musa ispiratrice, tutta piume e mondanità, per numerosi artisti del tempo. Perché la Bernhardt è sempre oggetto e soggetto della propria vita, emblema non solo di una nuova modernità artistica ma anche e sopratutto di una nuova consapevolezza femminile. Come quando, influenzata dagli amici, decide di praticare lei stessa la pittura e soprattutto la scultura, come ci rivela una delle sale tra le più sorprendenti della mostra. Ancora una scelta, quest’ultima, piuttosto anomala e coraggiosa per l’epoca, che considerava il carattere fisico di quest’arte poco adatto all’indole «delicata» delle donne e che accomuna il nome della Divina a quello di altre pioniere dell’epoca, in primis Camille Claudel. La produzione di Sarah Bernhardt, fatta essenzialmente di busti in bronzo di amici e intellettuali del tempo, rivela qualità di grande ritrattista, attraverso un modellato vibrante che conferisce ai volti notevole profondità espressiva di gusto quasi impressionista. Che dire poi delle sue doti di imprenditrice pronta a investire tutti i guadagni delle tournées internazionali per finanziare il Teatro delle nazioni sulla centralissima piazza du Chatelet, teatro di cui diventerà direttrice nel 1899. In quel progetto metterà non solo la faccia, interpretando più di quaranta ruoli diversi, ma persino il proprio nome, ancora oggi associato a quello che è diventato il Théâtre de la Ville – Sarah Bernhardt.
Sarah Bernhardt «révolt», feticci e reliquie
A Parigi, Petit Palais, "Sarah Bernhardt. Et la femme créa la star", a cura di Stéphanie Cantarutti e Cécilie Champy-Vinas. La star nell’intimità del suo mondo ‘nouveau’: mobili, abiti, decori, tutto ricostruito con gusto caleidoscopico e ossessione quasi investigativa. Volto spigoloso della Belle Époque, la sua modernità implica una nuova coscienza femminile
A Parigi, Petit Palais, "Sarah Bernhardt. Et la femme créa la star", a cura di Stéphanie Cantarutti e Cécilie Champy-Vinas. La star nell’intimità del suo mondo ‘nouveau’: mobili, abiti, decori, tutto ricostruito con gusto caleidoscopico e ossessione quasi investigativa. Volto spigoloso della Belle Époque, la sua modernità implica una nuova coscienza femminile
Pubblicato 2 mesi faEdizione del 3 agosto 2023
Barbara Musetti, PARIGI
Pubblicato 2 mesi faEdizione del 3 agosto 2023