A quindici giorni dal voto per il presidente della Repubblica, i partiti si muovono ancora in ordine sparso. Silvio Berlusconi è atteso a Roma, dove finalmente guarderà in faccia i suoi e capirà fino a che punto può ritenersi davvero in corsa per il Quirinale. Fino ad allora, da Forza Italia (e di rimando da tutto il centrodestra) c’è da attendersi che si agiti il vessillo del Cavaliere. Lo ha fatto ancora ieri il coordinatore di Fi Antonio Tajani, che ha smentito ogni ipotesi alternativa e ha garantito che la candidatura di Berlusconi è ancora sul piatto e che può fare breccia in una parte del centinaio di parlamentari che popolano il gruppo misto. All’interno del quale, inoltre, Sinistra italiana ed Europa Verde lanciano un «patto di consultazione» per vigilare su antifascismo e attuazione del Pnrr.

IL 13 GENNAIO si riunisce la segreteria del Partito democratico. Enrico Letta è stato l’unico leader a prendere in esplicita considerazione l’elezione di Mario Draghi, contando su un effetto trascinamento sul resto della maggioranza di governo. Soprattutto il M5S, la forza di maggioranza relativa che sembra in attesa di una pista già battuta da seguire per non implodere e magari assicurare che la legislatura segua la sua scadenza naturale. I vertici del Pd, tuttavia, dovranno mettere mano al rompicapo che si è andato componendo da quando il presidente del consiglio ha manifestato la sua disponibilità al trasloco di Palazzo. Si sono posti l’obiettivo di «tutelare Draghi», di mantenerne intatta l’autorevolezza e la funzione di garanzia di fronte allo scenario internazionale ancora nei giorni scorsi ribadita da Emmanuel Macron e Goldman Sachs. Ma a questo punto, esiste un altro modo di aprire l’ombrello sulla sua figura che non sia quello di promuoverlo al Colle e sottrarlo alle incertezze di una maggioranza sempre più divisa?

PROBABILMENTE è la stessa domanda che si sta ponendo Luigi Di Maio, l’unico che ha fatto parte di tutti e tre i governi avvicendatisi fino a questo momento in questa legislatura. Da ieri il ministro degli esteri, da molti considerato il vero tessitore politico del campo grillino, è guarito dal Covid e di nuovo in campo. Il suo intervento potrebbe essere risolutore per rimettere ordine tra i suoi e disegnare una prospettiva che garantisca la collocazione al governo del M5S. A differenza di Giuseppe Conte, infatti, che ha interesse a tenere uniti i suoi ma anche a sancire l’alleanza col Pd, Di Maio punta a dimostrare che il M5S è nonostante tutto ancora determinate. Potrebbe dunque farsi avanti con una strategia più disinvolta, proprio mentre i giorni decisivi si avvicinano. Anche perché, ragionano i 5 Stelle più pragmatici, se davvero Draghi dovesse andare al Quirinale e contestualmente si dovesse garantire un governo che arrivi fino al 2023, diventa impossibile non coinvolgere Matteo Renzi. Tutto il contrario di quello che vorrebbe Conte.

LA QUARTA ONDATA pandemica, contribuisce ad alimentare il tasso di tensione ma bussa anche alle porte dei grandi elettori. Il rischio che l’elezione del capo dello stato sia influenzata dalle assenze e dall’impazzare del Covid, alimenta gli auspici di quelli che vorrebbero rinviare le scelte dirimenti e congelare gli assetti attuali in nome dell’emergenza. «Ritengo perfino superfluo rivolgere un appello al presidente Mattarella perché rimanga nel suo ufficio – dice ad esempio Osvaldo Napoli di Forza Italia – La partita del Quirinale sarebbe rinviata a data da destinarsi per impraticabilità del campo». E allora Draghi sta ancora a Palazzo Chigi, Mattarella si ferma al Quirinale. In attesa che l’emergenza passi e che qualcuno estragga la carta giusta dal mazzo per chiudere la partita.