«Se riprendi una massa d’acqua, avrai un’opaca rappresentazione di dei, lingue, oggetti e canzoni, tutto gettato in mare assieme a corpi che vengono dall’Africa dell’Ovest». Nel secondo capitolo della sua esplorazione nei labirinti del dislocamento la cantante e compositrice lusitana Sara Serpa, di stanza a New York, torna sui passi e le notti di chi per sopravvivere deve attraversare confini «contro la bianca vastità del nulla, da orizzonte a orizzonte». Nato da una commissione di John Zorn e composto in collaborazione con lo scrittore nigeriano Emmanuel Iduma, Intimate Strangers racconta in tredici episodi storie di rifugiati e viaggiatori non per scelta, Ulisse che affogano nella cronaca grigia dell’attualità. Ispirato al volume A Stranger’s Pose di Iduma, l’album abita, senza un grammo di retorica, le stanze di tragitti intimi, universali. Cosa significa lasciare casa per sempre? Cosa resta a chi si imbarca per terre lontane? Forse solo la memoria e il canto. Ecco allora ballate da camera rarefatte ad evocare spiriti convocati da tre voci (la stessa Serpa, Sofia Rei e Aubrey Johnson), il piano di Matt Mitchell e il synth di Qasim Navqi: ombra, requiem e vita ai morti affogati.