Quando esce da Palazzo Chigi Pierluigi Bersani ha quel sorriso indecifrabile per il quale poco meno di due anni fa i cronisti si appellavano al suo consigliere Miguel Gotor, e alla fine sconsolati al libro dell’I Ching, per interpretare l’andamento delle tormentate consultazioni per il Colle. Ieri Renzi ha voluto una mezz’ora di faccia a faccia con il suo predecessore, subito prima di incontrare Berlusconi e subito dopo aver riunito deputati e senatori Pd, con i quali ha usato parole rassicuranti sull’unità del partito. All’uscita di Palazzo Chigi Bersani incontra i due colonnelli della sua (ex) area: Roberto Speranza, capogruppo Pd e capofila dell’ala riformista conciliante, e Gianni Cuperlo, lo sconfitto del congresso che resta, in teoria, il riferimento di chi lo ha sostenuto. A loro confida le sue perplessità. Poi con i giornalisti in Transatlantico calca la mano sulla cautela: «Abbiamo cominciato a ragionare, abbiamo ragionato bene. La strada è ancora lunga, ci sono ancora alcuni giorni».

Questa volta, a differenza del precedente incontro fra i due, con Bersani Renzi è stato esplicito e diretto. «Proporrò Sergio Mattarella». Senza nominare il giudice costituzionale, di buon mattino ai deputati ha spiegato che serve un nome «con il quale costruire una grande narrazione del nostro paese», ai senatori che si sarebbe trattato di «una storia raccontabile soprattutto al nostro interno». Chi meglio del giudice costituzionale, del fratello di Piersanti ucciso dalla mafia, dell’autore di una compianta legge elettorale, di un uomo prestigioso e riservato come lui? È musica per le orecchie di Bersani, dopo tante polemiche. Il nome è compreso nella «serie A» dei desiderata della sinistra Pd: insieme a quello di Giuliano Amato, che però per Renzi è troppo impopolare. Mattarella sarebbe un fior all’occhiello per tutto il partito, ma anche una vittoria per la sinistra interna che fin qui ha temuto di dover ingoiare un presidente targato Patto del Nazareno.

Ma sotto la patina dell’incrollabile entusiasmo di Renzi, il suo interlocutore ha capito, o creduto di capire, che ancora certezze non ce ne sono e che, appunto, «la strada è ancora lunga». Le perplessità di Bersani si trasformano nei sospetti di molti dei suoi: non si fidano, temono il bluff. Certo, ragiona Stefano Fassina, «Mattarella avrebbe tutte le caratteristiche per unire». Non è un mistero che sia anche nella rosa dei graditi a Sel. «Abbiamo detto con grande forza a Renzi che immaginiamo la figura di un custode della Carta e dell’autonomia del parlamento. Le scelte non devono avere puzza o profumo del Nazareno», dice Vendola. E persino una parte dei 5 stelle potrebbe votare il fratello di Piersanti, il presidente della Sicilia ucciso nell’80.

Il sospetto di molti bersaniani è però che il leader lasci trapelare il nome di Mattarella per farlo poi pubblicamente (e definitivamente) bocciare da Berlusconi nel nuovo incontro di oggi. «Se Renzi vuole andare davvero fino in fondo lo si vedrà all’assemblea dei grandi elettori Pd», spiega un deputato riformista: «Se fa esplicitamente il nome di Mattarella vuol dire che ci punta davvero, se prende ancora tempo vuol dire che era solo una finta e presto tirerà fuori il suo vero cavallo. Per poi dire: vedete, io volevo Mattarella, ma Berlusconi non ne ha voluto sapere».

In effetti a Bersani Renzi non ha dato nessuna certezza che il nome di Mattarella verrà apertamente pronunciato oggi. Gli ha invece detto che in ogni caso per lui, anche ora che la scelta del candidato sarebbe scelto – il condizionale è d’obbligo ma non è il modo del verbo usato dal premier – è molto meglio in ogni caso consumare le prime tre votazioni con una scheda bianca. I voti certi, al netto dei mal di pancia di Forza Italia, sempre ammesso che alla fine Berlusconi si convinca, sono 600. Meglio evitare tiri mancini anche interni alla maggioranza, meglio darsi ancora un giorno per trattare. Un giorno solo però: il Pd ieri ha avanzato alla camera, che si trasformerà in seggio elettorale, la richiesta di fare tre votazioni nel giorno di venerdì. Uno strappo alla prassi, ma significa che Renzi si sente sicuro della strada imboccata. «Si parte e si arriva con Mattarella», assicura il vicesegretario Lorenzo Guerini. Resta però da sapere se la strada è davvero quella che ha indicato a Bersani.