Strategica, indiscutibile, fondamentale. «Se non si farà, saremmo tagliati fuori dall’Europa». I binari, ancora virtuali, della alta velocità Torino-Lione sono stati spesso lastricati da diktat apparentemente inappellabili. Se non dai dati reali sul traffico merci tra Italia e Francia (dimezzato nell’ultimo decennio e tuttora in calo), dai destini del fantomatico corridoio 5 Lisbona-Kiev, rimasto impresso solo sulle carte, e dalla mobilitazione di una valle. A duecento chilometri di distanza, a cavallo tra Liguria e Piemonte, c’è un’altra grande opera contestata, il Terzo Valico, dove le valli Scrivia, Lemme e Polcevera si incrociano e il dialetto non segue i confini regionali. Il «sarà düra!» valsusino qui si pronuncia «A saià düa!».
Il Terzo Valico dei Giovi è un tratto ad alta velocità ed alta capacità di 54 chilometri, 39 dei quali in galleria, da Genova a Tortona, a Rivalta Scrivia per la precisione. Fa parte del corridoio 24, tra il porto della Lanterna e quello di Rotterdam. Se ne discute, come in Val di Susa, da oltre vent’anni, almeno dall’anno 1991, in cui nacque il general contractor che dovrebbe realizzare l’opera, il Cociv, il consorzio guidato da Impregilo. Il costo è di 115 milioni di euro al chilometro per una cifra totale di 6,2 miliardi di euro. Per essere caro, visti anche i tempi di magra, è caro, l’impatto ambientale è problematico (falde acquifere in pericolo e amianto nelle rocce appenniniche).
La tesi di fondo, tra i sostenitori, è che sia indispensabile per uno sviluppo del porto di Genova. Il movimento che si batte contro il nuovo tunnel non la pensa così. «Vogliono farci credere a un trend di crescita che non esiste. Nel 1992 si prospettava un traffico di container pari quattro milioni di teu, nel 2012 ci si è fermati alla metà», dice Claudio Sanita del comitato No Tav di Arquata Scrivia. A luglio 2013, secondo dati dell’Autorità portuale di Genova, si è verificato un calo del 3,8% rispetto al 2012. «Le linee attuali – continua Sanita – non sono sature, basterebbe un ammodernamento. Le sorti progressive del porto di Genova non saranno certo risolte dal Terzo Valico che una volta terminato a Rivalta Scrivia riporterà la linea in un collo di bottiglia, su binari normali. Non contino balle, il corridoio 24 fino a Rotterdam vive solo sulle mappe».
Da Trasta, un borgo di Genova (qui, la scuola villa Sanguineti che doveva diventare sede del Cociv è stata salvata da maestre e genitori), a Serravalle, in Piemonte, in questi mesi, la popolazione locale si è mobilitata contro gli espropri. Rasta e capelli bianchi si sono uniti nella lotta. «Fermando gli espropri abbiamo imposto una discussione – chiarisce Gian Franco Marchesotti comitato di Serravalle Scrivia – rispetto a ciò che veniva dato per certo. Parlare di Terzo Valico non è più tabù. La realtà dimostra che gli unici che vogliono farlo sono quelli con interessi diretti».
I primi due cantieri sono partiti nel genovese, ancora nulla si muove in Piemonte. Il Cociv avrebbe voluto avviare i lavori il 10 settembre a Voltaggio (Val Lemme, provincia di Alessandria), dove a metà anni ’90 fu scavato uno dei due fori pilota, finito poco dopo sotto la lente della magistratura. Il ministro dell’Ambiente Andrea Orlando ha imposto uno stop. Ad averlo sollecitato, tra gli altri, il sindaco di Alessandria, Rita Rossa, che aveva inviato una lettera al ministro, preoccupata dell’avvio, prima della conclusione degli studi sulla presenza di amianto (stimato al 20% in Val Lemme e al 50% ad Arquata Scriva ) e dell’approvazione del piano cave.
L’amianto è uno dei traumi più profondi di questa terra (Casale Monferrato con la sua Eternit dista pochi chilometri). «Esiste una pressione politica – interviene Mario Bavastro, Legambiente della Val Lemme – che giustifica ogni atto di fronte a un’opera inutile come questa. Porteranno garanzie maldestre anche davanti ai rischi connessi alle rocce serpentinitiche, che contengono la fibra killer. I cittadini dovrebbero saper tutto di un’opera pubblica, invece continua la secretazione delle carte. Le merci non hanno bisogno di velocità ma di certezze e sicurezze. Elementi che forse il porto di Genova ancora non dà».
Gli attivisti tirano fuori i documenti, le analisi dell’Enel di alcuni anni fa che attestavano la presenza d’amianto a Voltaggio. Ora, aspettano a breve quelle di Arpa e Regione Piemonte: «Che nascono però da sondaggi del Cociv, creando qualche perplessità in più», sottolinea Bavastro. Oltre all’amianto, l’altro problema è l’acqua. «Temiamo – aggiunge Claudio Sanita – di fare la fine del Mugello, in Toscana, dove dopo diciassette anni di lavori per l’alta velocità si sono ritrovati acquedotti fuori uso e sorgenti prosciugate». E poi c’è lo shunt, lo svincolo sotterraneo di Novi Ligure: «Se fosse costruito produrrebbe un «effetto diga», perché la falda qui è superficiale».