Lunedì nero per i mercati finanziari di Mosca. Ieri mattina la borsa della capitale russa non ha fatto in tempo ad aprire che i titoli delle aziende sanzionate venerdì dal dipartimento di giustizia Usa hanno virato verso il segno meno.

In prima fila i titoli del tycoon Oleg Deripaska, visto che il 14% dei suoi titoli è posseduto da investitori americani, con la Rusal (produzione alluminio) che lascia subito un 24% e la En+ (settore energetico) va a -12%. Per lui la giornata è un calvario: a mezzogiorno la situazione di Rusal è tale che si prospetta il default e Forbes calcola perdite per 1,7 miliardi di dollari.

Ma per tutti gli altri titoli delle holding coinvolte dalle sanzioni la situazione non è migliore. Vladimir Potanin, il re dell’acciaio, è a -9% (in soldoni 1,4 miliardi dollari) e a seguire tutti i gli altri da Suleiman Kerimov (investimenti e finanza) che perde un quarto del suo patrimonio fino a Vagit Alekperov (Lukoil) che lascia sul terreno un miliardo di dollari.

Anche Roman Abramovich perde mezzo miliardo di dollari. Meglio, si fa per dire, la Gazprom di Alexey Miller che chiude la giornata a -6,5%. In complesso, per Fortune, i grandi gruppi russi bruciano 12 miliardi di dollari, con la borsa di Mosca che chiude a -10%.

Secondo Natalya Orlova, dirigente di Alfa Bank, «il governo ha preso sottogamba il nuovo round di sanzioni americane». Dev’essere così se solo a mezzogiorno il premier Dmitry Medvedev rassicura che «il governo interverrà a sostegno delle imprese colpite da sanzioni», rendendo il clima leggermente migliore. Dmitry Peskov, portavoce di Putin, prende anche lui la parola per sottolineare come il Cremlino «stia seguendo con attenzione i processi in atto sui mercati».

Molto attivo invece il ministero dell’economia; quando in giornata il rublo inizia a cedere nei confronti del biglietto verde e supera la soglia critica di 1 a 60 (mentre l’euro va in orbita, 75 a 1) vengono subito iniettate nel mercato grandi quantità di valuta pregiata, abbandonando il vecchio dogma putiniano della libera fluttuazione della divisa russa per non sacrificare le riserve della banca centrale. Si evita così lo shock del dicembre 2014 quando il dollaro superò gli 80 a 1 sul rublo, creando vero panico nell’opinione pubblica.

Giornata movimentata a Mosca anche sul fronte del caso Skripal, l’ex agente dei servizi russi avvelenato da gas nervino con la figlia Yulia il 4 marzo scorso a Salisbury. Dopo che è filtrata l’indiscrezione secondo cui Sergey Skripal, da qualche giorno uscito anche lui dal coma, avrebbe chiesto di essere trasferito negli Usa dove la sua incolumità sarebbe meglio garantita, domenica sera alla tv russa è apparsa la cugina di Yulia Skripal, Viktoria.

Ha confermato di aver avuto il diniego dalle autorità britanniche a potersi recare a Londra. La cugina di Yulia ha risposto anche alle insinuazioni della stampa inglese che l’accusano di essere un agente dei servizi russi: «Si porti a sostegno di questa tesi qualsiasi cosa, fosse anche un’illazione. Io non faccio parte del Fsb e non ho mai avuto contatti con esso».

Ha anche confermato di aver potuto parlare al telefono con la sua parente ma di «aver colto dalle sue parole una mancanza di naturalezza, come se fosse controllata a vista». Yulia ha espresso comunque «il disperato desiderio di tornare in Russia dove c’è il suo lavoro, l’uomo a cui è legata e il suo cane». E in quel «disperato» a più di uno osservatore è parso di cogliere quanto Yulia Skripal si senta sotto pressione in Gran Bretagna e tema di essere manipolata.

Yulia ha detto alla cugina di non temere il ritorno nella sua città natale perché a questo punto «non si sentirebbe sicura neppure sulla Luna». Ma Londra non sembra avere intenzione, a ora, di voler esaudire la richiesta della ragazza.