Avanti tutta con lo strangolamento economico del Venezuela. Dopo la decisione di Londra di bloccare le riserve auree di proprietà venezuelana pari a 1,2 miliardi di dollari, gli Stati uniti hanno annunciato quello che era nell’aria già da tempo: l’applicazione di sanzioni contro la società petrolifera statale Pdvsa attraverso la sua principale filiale Citgo, attiva in territorio statunitense. Misure che, ha spiegato il segretario al Tesoro Usa Steven Mnuchin, comprendono il congelamento di circa 7 miliardi di dollari in asset, a cui si aggiunge una perdita stimata di 11 miliardi di dollari da esportazioni.

«ABBIAMO CONTINUATO a denunciare la corruzione di Maduro e dei suoi compari e le azioni di oggi assicurano che non possa più saccheggiare gli asset del popolo venezuelano», ha dichiarato il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca John Bolton. E lo stesso ha disciplinatamente ripetuto il presidente fantoccio Juan Guaidó, che, annunciando di aver dato inizio a una «presa di controllo progressiva e ordinata» degli asset del Venezuala all’estero, ha sottolineato la necessità di impedire che, prima di cadere, «non contenti di aver rubato tutto ciò che hanno potuto, l’usurpatore e la sua banda decidano di raschiare il fondo del barile».

IMMEDIATA LA REAZIONE di Maduro, secondo cui le «criminali e immorali» sanzioni non mirano ad altro che a «portarci via le ricchezze». «Gli Usa hanno deciso di percorrere il cammino illegale di rubare l’impresa Citgo al Venezuela», ha detto, annunciando l’adozione di «tutte le misure legali, tecniche e commerciali per difendere gli interessi» del suo paese.

Sull’aperta violazione di «tutte le norme immaginabili del diritto internazionale» da parte degli Usa è intervenuto anche il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, accusando Washington di seguire chiaramente «una politica volta a rovesciare il governo legittimo», boicottando ogni possibile sforzo internazionale per risolvere la situazione.

«IN BASE AI NOSTRI DATI – ha spiegato – i leader dell’opposizione ricevono istruzioni da Washington perché non cedano su nulla, fino a quando il governo non cadrà in un modo o nell’altro». Alla luce di tutto questo, ha assicurato Lavrov, la Russia «farà ogni sforzo» per sostenere Maduro, percorrendo «vie di soluzione della crisi all’interno del quadro costituzionale». A condannare le sanzioni è stata anche la Cina che ha garantito che proseguirà sulla via della cooperazione e dello scambio commerciale con il Venezuela. Gli Usa, ha denunciato Pechino, dovranno rispondere delle «gravi conseguenze che provocheranno tali sanzioni» sulla vita della popolazione venezuelana.

In questo quadro, l’attenzione si concentra tutta sulle forze armate, il cui ruolo, rispetto all’esito del «golpe multinazionale» in corso, è giudicato decisivo da tutti gli attori in campo. Non per niente l’opposizione, imboccata da Washington, ha cambiato tono nei confronti dell’esercito. Le lusinghe, però, finora non hanno avuto effetto: «Non permetteremo – ha assicurato il ministro della Difesa Vladimir Padriño – che il mondo, le reti sociali, le stravaganti dichiarazioni di governi che mirano a isolare il Venezuela ci confondano e ci schiaccino. Non è il momento di esitare, è il momento di resistere».

DAL CANTO SUO LA POPOLAZIONE, quella che si vorrebbe schierata con Guaidó (sul quale ieri la Procura ha aperto un’inchiesta obbligandolo a non lasciare il paese), non vuole affatto saperne di intromissioni straniere: secondo l’istituto Hinterlaces, l’81% è contrario a misure unilaterali da parte degli Usa, l’86% si oppone a un intervento militare per destituire Maduro e l’84% è a favore del dialogo tra governo e opposizione.