Accade in Lombardia, a Milano, in un ospedale pubblico, il San Carlo Borromeo. Nei giorni scorsi è stata pubblicata sugli organi si stampa una lettera, ad uso interno, che 50 medici d’urgenza e rianimatori hanno consegnato alla direzione sanitaria, segnalando problemi strutturali, criticità croniche, difficilissime condizioni di lavoro e stress cui sono sottoposti da mesi. Il documento, accanto a una analisi critica delle difficoltà con proposte puntuali, contiene riflessioni umane pesanti, simili ad altre, già denunciate a mezzo stampa, da medici bergamaschi ad aprile: «Siamo costretti a operare scelte relative alla possibilità di accesso alle cure non clinicamente né eticamente tollerabili». Segue una comunicazione dei loro primari, che sostenendo il senso complessivo della lettera, si dissociano da quella affermazione. In tal modo i primari di Pronto soccorso e di rianimazione (1 con funzione di capo dipartimento) svolgono ruolo di guida delle equipe mediche e di raccordo con la direzione generale, informando i cittadini che possono continuare a rivolgersi con fiducia a quel Ps, nonostante grandissime difficoltà, grazie alla competenza e abnegazione dei sanitari.

La reazione del direttore generale è quella di sanzionare la primaria di pronto soccorso, sollevata dalla funzione di capo Dipartimento Emergenza Urgenze. L’Unione sindacale italiana ha proclamato lo stato di agitazione con uno sciopero il 14 dicembre. Il comitato di cittadini “difesa della sanità pubblica Milano città metropolitana del sud/ovest” chiede le dimissioni, tra gli altri del direttore generale.

Da consiglieri regionali non siamo in questa fase interessati a stabilire chi abbia ragione o torto. Siamo preoccupati del fragilissimo equilibrio, in una fase di emergenza, tra direzioni generali e medici. Se invece di ricomporre le criticità che emergono, i direttori generali iniziano una fase di sanzioni disciplinari per i medici, si rischia che il conflitto divampi in tutta la regione. Le conseguenze nefaste per i cittadini appaiono evidenti. Il lavoro del personale sanitario è difficilissimo, anche in considerazione del fatto che in maniera reiterata hanno ricevuto comunicazione di non riferire esternamente ciò che accadeva all’interno degli ospedali. Il riserbo mantenuto dai sanitari lombardi è stato complessivamente encomiabile, proprio perché hanno vissuto sulla propria pelle le disfunzionalità della gestione sanitaria, che tutti i cittadini hanno imparato a conoscere.

La impossibilità di comunicare, pena sanzioni, è evidente limitazione della libertà del cittadino/sanitario/eroe e pur in uno stato di emergenza mostra evidenti dubbi di costituzionalità. Nei rarissimi casi in cui i medici hanno riferito alla stampa, compito di un direttore generale è di agire con sobrietà, spiegando i motivi delle difficoltà enunciate e confutando le affermazioni errate, a beneficio dei cittadini. Questo il suo lavoro di guida e anche su questo deve essere valutato il suo operato, anche quando ciò che viene riportato dai medici siano gravi accuse. Al San Carlo, peraltro la lettera era destinata alla direzione generale. Martedì presenteremo in consiglio regionale una interrogazione all’assessore per capire ciò che ha fatto e intende fare per indirizzare l’operato delle direzioni generali verso la risoluzione dei conflitti. Giova ricordare che l’assessore esercita un ruolo di Direttore dei Direttori, da lui nominati su base fiduciaria in base a colloquio e presentazione dei titoli, mentre i medici di primo livello sono assunti in seguito a concorso pubblico con valutazione dei titoli, prova scritta, orale e prova pratica.

*I consiglieri regionali di opposizione: Michele Usuelli (Più Europa radicali), Pietro Bussolati (Pd), Gregorio Mammì (5 Stelle), Elisabetta Strada (Lombardi civici europeisti), Niccolò Carretta (Azione)