Per il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, «presto o tardi», l’Unione europea dovrà approvare delle sanzioni sulle importazioni di petrolio e di gas dalla Russia. Dopo il carbone, ha detto la presidente della Commissione, bisognerà affrontare il petrolio. Ieri, gli ambasciatori Ue hanno discusso del quinto pacchetto di sanzioni, sulla base delle proposte della vigilia della Commissione, che ha messo sul tavolo il blocco dell’import di carbone (46% per la Ue), evocato quello del petrolio (25% di dipendenza Ue e grossa linea di pagamenti, più di 70 miliardi l’anno), che alcuni paesi (Baltici, Polonia, Francia) approvano, mentre evita di affrontare il nodo del gas (40% di dipendenza, che sale al 55% per la Germania), che i Baltici malgrado la forte dipendenza hanno già bloccato.

I MINISTRI DEGLI ESTERI dei 27 si incontrano lunedì a Lussemburgo. Ma il primo ministro ungherese, Viktor Orbán, appena rieletto alla grande, ha preso in contropiede i partner Ue: ieri, ha affermato che l’Ungheria è pronta a pagare il gas russo in rubli, come richiesto dal Cremlino. Orbán, inoltre, in un colloquio con Putin, ha ripetuto che «non cediamo a pressioni per estendere le sanzioni al petrolio e al gas», per poi proporre a Francia e Germania di aprire dei negoziati con la Russia a Budapest. Il pagamento del gas russo in rubli è stato giustificato ieri dal ministro degli Esteri ungherse, Peter Szijjarto, come un «contratto bilaterale», una «soluzione tecnica».

USA E GRAN BRETAGNA hanno deciso di inasprire le sanzioni. Riguardano gli investimenti, le banche, l’energia, altri oligarchi, tra cui le figlie di Putin. È ormai sotto sanzioni anche il colosso Sberbank. Gli Usa hanno bloccato il ricorso della Russia a dollari conservati in banche occidentali per pagare il debito e non accettano rubli, cosa che può portare al defaut russo.

La Ue, invece, si lacera. Ogni giorno, la Ue versa a Mosca circa 700 milioni di euro, per gli idrocarburi, «soldi macchiati di sangue» per il presidente ucraino, Volodymir Zelensky, che ieri ha ripetuto l’appello agli europei, criticati per «l’indecisione». In un intervento video al parlamento irlandese, ha affermato: «Il nostro mondo è al correte di crimini commessi contro il nostro popolo, dobbiamo sempre convincere compagnie europee a lasciare il mercato russo, ancora convincere uomini politici stranieri a tagliare i legami delle banche russe con il sistema finanziario internazionale, dobbiamo ancora convincere l’Europa che il petrolio russo non può finanziare la macchina di guerra russa».

LA COMMISSIONE  ha pronta la lettera di messa in mora contro l’Ungheria che avvia una procedura inedita e sospende il versamento dei fondi del piano di rilancio (7 miliardi di euro di sovvenzioni per Budapest, che non ha chiesto prestiti). La lettera fa riferimento a mercati pubblici non trasparenti, a conflitti di interessi, alla corruzione. La procedura in corso è resa possibile dal meccanismo di condizionalità tra rispetto dello stato di diritto e accesso ai finanziamenti Ue, entrato in vigore il 1° gennaio 2012 e confermato da una decisione della Corte di Giustizia il 16 febbraio.

La procedura dovrebbe durare 6-9 mesi, cioè meno tempo di quella dell’articolo 7, sotto cui è sottoposta l’Ungheria dal settembre 2018, su domanda del Parlamento europeo. Invece, la Commissione, per il momento ha escluso dalla procedura la Polonia (che pure, dal 2017, è anch’essa sotto esame dell’articolo 7). La Commissione ha tenuto conto dello sforzo polacco a favore dei rifugiai ucraini. Bruxelles parla di «contatti», di «progressi» con Varsavia. «Spero che ci sarà presto un accordo» per risolvere la questione dell’indipendenza dei giudici, afferma il vice-presidente della Commissione, Valdis Dombrovskis.