Il vertice bilaterale Ue-Russia di giugno a Sochi è stato annullato e la lista delle personalità russe e ucraine (pro-russe) soggette a sanzione è stata allungata. Stamattina, verrà firmata la parte “politica” dell’accordo di associazione con l’Ucraina, che nel novembre scorso è stata all’origine della grave crisi in corso, in presenza del primo ministro temporaneo di Kiev, Arseni Iatseniuk. La parte economica dell’associazione dovrebbe seguire, “entro agosto”, dopo le elezioni presidenziali in Ucraina del 25 maggio, sempre che Kiev applichi i diktat dell’Fmi. Per il momento, c’è già tensione tra i 28 per l’ “aiuto” promesso all’Ucraina, ridotto concretamente a circa un miliardo di euro sugli 11 sbandierati nelle scorse settimane.

Sul fronte delle sanzioni, il Consiglio europeo dei capi di stato e di governo dei 28 paesi Ue, che si conclude oggi a Bruxelles, non andrà oltre le mezze misure, discusse ieri sera a cena. Ulteriori decisioni potrebbero essere prese al G7 dell’Aja, lunedi’, “se non ci sarà una de-escalation”, ha precisato Hollande. La “fase 3” delle sanzioni contro la Russia di Putin – cioè le sanzioni economiche – possono ancora aspettare.  L’unità è difficile da trovare. Troppi interessi contrastanti impediscono alla Ue di parlare con una voce sola. Se ci volesse una prova, basta prendere il braccio di ferro in corso sulla carne di maiale: la Russia, che assorbe il 4% della produzione porcina europea, ha imposto un embargo sulle importazioni dalla Ue alla fine di gennaio, con la scusa di un rischio sanitario (dei cinghiali affetti da peste porcina africana, in Lituania e Polonia, dove il caso ha portato alle dimissioni del ministro dell’agricoltura). La Commissione, che vuole denunciare Mosca al Wto, denuncia le trattative sotterranee e bilaterali di alcuni stati membri (Francia, Danimarca, Olanda), per ottenere singolarmente la levata dell’embargo sulle rispettive produzioni nazionali.

La terza fase delle sanzioni toccherebbe grossi interessi. La Russia è il terzo partner commerciale della Ue (dopo Usa e Cina). L’Europa importa soprattutto gas e petrolio ed esporta prodotti manifatturieri. Tra il 2002 e il 2012 le esportazioni verso la Russia sono triplicate e gli scambi sono a vantaggio della Ue. La questione più delicata è la dipendenza di alcuni paesi dal gas russo: complessivamente, intorno al 25-30% di dipendenza da Gazprom, con punte che vanno fino al 100% per alcuni paesi dell’est. La Germania è il primo paese esportatore Ue verso la Russia, con il 30% del totale, seguita dall’Italia (8 miliardi, 9%), dall’Olanda, dalla Polonia e dalla Francia (7%). La Germania è anche il primo importatore (19%), seguita da Italia e Polonia. Una reazione russa di embargo sul gas fa paura, per la penuria che causerebbe (la sostituzione con lo shale gas Usa è ancora lontana) e l’aumento dei prezzi che verrebbe a soffocare delle economie già in difficoltà. Molte società europee rischiano in caso di sanzioni sull’energia: Shell, Bp (controllata, tra l’altro, al 20% da Rosneft), Eni. Un altro punto delicato sarebbe l’embargo sulla vendita di armi, chiesto da Polonia, Svezia, baltici, e che ha ricevuto l’appoggio britannico. La Francia è il paese che ha più da perdere, perché ha in corso un contratto per la costruzione di due portaelicotteri Mistral. Sono mille posti di lavoro per 4 anni nei cantieri di Saint-Nazaire. Il ministro degli esteri, Laurent Fabius, ha evocato timidamente il blocco della consegna di una prima nave, solo se “il fardello” verrà condiviso dai partner europei, ma il suo collega della difesa, Jean-Yves Le Drian, ha ricordato che si tratta di due navi “non armate, che diventeranno militari quando arriveranno in Russia” e ha sottolineato che se ne riparlerà non prima di ottobre, momento della consegna. In caso di blocco, la Francia dovrà pagare una penale alla Russia, superiore al miliardo di euro.

Sul militare, la tedesca Rheinmetall sta vendendo alla Russia un sistema di simulazione per l’esercito e a livello minore anche Austria, Belgio, Italia e Bulgaria esportano armi, mentre gli ex paesi dell’est sono dipendenti per i pezzi di ricambio dall’export russo in questo settore. Altre società europee soffrirebbero per un embargo alla Russia: le tedesche Volkswagen, Bmw, Audi, Siemens, Metro (grande distribuzione), Eon, Rwe (energia), Basf, le francesi Société Générale (in Russia con Rosbank) e Renault, Unicredit per l’Italia (oltre alle imprese esportatrici di più piccola taglia), la Carlsberg danese, la banca Reiffesen austriaca, Nokian Tyres finlandese. Ci sono soldi russi in banche e imprese di Cipro, Grecia, Bulgaria, Italia, alla City di Londra (che ha già trovato la soluzione: minacciare il gelo degli averi solo in caso di “prova” che l’oligarca abbia avuto un ruolo attivo in Crimea).