Finora la Germania è stata cauta con la Russia. Ha cercato di tenere aperta la finestra del dialogo, nella speranza che la partita di Kiev potesse risolversi a un tavolo, pesando le ragioni degli uni e degli altri. Sia il ministro degli esteri Frank-Walter Steinmeier che la cancelliera Angela Merkel sono convinti che l’Ucraina debba cambiare passo, ma ritengono che non sia possibile trovare i nuovi equilibri senza tenere conto dell’esistenza della Russia, con il suo naturale corredo di interessi.

Questa posizione ha trovato spazio nelle conclusioni del Consiglio europeo dello scorso giovedì. Da una parte è arrivata la decisione di sostenere politicamente e finanziariamente il nuovo governo di Kiev, concedendo una linea di credito da 11 miliardi di euro e rilanciando gli Accordi di associazione e sul libero scambio, scartati a novembre da Yanukovich. Dall’altra sono state prese misure leggere verso la Russia, come la sospensione dei negoziati su liberalizzazione dei visti e rinnovo del partenariato strategico, siglato nel 1997. Si stava lavorando a una versione aggiornata e irrobustita. In più è arrivata la conferma del boicottaggio del G8 di Sochi da parte dei paesi Ue. Nessuna traccia di sanzioni vere e proprie, insomma. Sono state soltanto minacciate. Se Mosca non fa qualche passo indietro – si legge nel documento – potrebbero scattare blocco dei visti diplomatici, interventi su asset finanziari e restrizioni economico-commerciali.

Ora, visto che Putin sembra orientato a portare avanti i suoi piani in Crimea, la Germania sarà costretta a mostrare qualche muscolo in più. In altre parole le sanzioni, fino a prova contraria, paiono inevitabili. Il Consiglio europeo di lunedì dovrebbe procedere su questa strada. Il che spalanca prospettive poco confortanti, a Berlino.

Il punto è che la linea attendista sin qui perseguita da Steinmeier e Merkel è stata dettata anche, forse soprattutto, da considerazioni matematiche. La Germania, nel corso degli ultimi vent’anni, ha intessuto relazioni economiche molto strette con Mosca. In Russia sono attive più di seimila aziende tedesche, con investimenti complessivi pari a venti miliardi di euro. Trecentomila posti di lavoro in Germania dipendono dai rapporti con la Russia, ha ricordato la scorsa settimana il Comitato tedesco per le relazioni economiche con l’Europa dell’Est, associazione che raggruppa banche, assicurazioni e industrie che operano nei paesi un tempo oltre cortina, mettendo in guardia sulle ripercussioni che le eventuali sanzioni potrebbero avere sull’economia della Germania, che importa circa il 40% del proprio fabbisogno di gas dalla Russia.

La sollecitazione, accompagnata da un recente sondaggio dal quale è risultato che il 62% dei tedeschi è contrario alle sanzioni e il 72% favorevole al sostegno al nuovo esecutivo di Kiev, era stata recepita dalla Merkel. D’altro canto la cancelliera è sempre sensibile alla pancia della società. Ma con Putin che continua a fare il duro, è probabile che Berlino debba a sua volta alzare i toni. Lunedì si vedrà che postura assumerà la Merkel.
Nel frattempo c’è la Polonia che incalza. Il premier di Varsavia, Donald Tusk, che oggi riceverà Angela Merkel, con cui ha una buona chimica, ha affermato che «la dipendenza tedesca dal gas russo può effettivamente limitare la sovranità europea», aggiungendo che se Berlino e l’Europa in generale non cercheranno di cambiare registro, diversificando fonti e produttori, la politica estera del blocco Ue risulterà inevitabilmente «paralizzata».

Intanto Oxford Economics, la struttura di previsioni della rispettata università britannica, ha diffuso uno studio da cui viene fuori che in caso di guerra commerciale tra Russia e Ue sarebbe la prima a rimetterci maggiormente, dato che l’export comunitario verso Russia è solo l’1% del Pil europeo, mentre quello energetico russo verso l’Europa pesa al 15% sulla ricchezza nazionale di Mosca. Per Oxford Analytics il Pil russo potrebbe crollare addirittura di dieci punti percentuali, se Mosca chiudesse i rubinetti o l’Ue smettesse di comprarne gas e petrolio.