«Non sono mai stato ossessionato dal potere, perché ce l’ho sempre avuto». È forse questa la frase più adatta a comprendere il profilo del presidente colombiamo Manuel Santos, insignito del Nobel per la Pace.  Santos appartiene infatti a una delle famiglie più ricche e influenti del paese, che per quasi cento anni è stata proprietaria del più importante quotidiano, El Tiempo. Nel 1972, a solo 21 anni, ha fatto parte della Federación Nacional de Cafeteros e ne è stato rappresentante a Londra fino al 1981. Poi è rientrato nel paese come vicedirettore di El Tiempo. Dieci anni dopo, è nominato ministro del Commercio estero dal presidente liberale César Gaviria. Nel 2000, diventa ministro di Economia, nominato dal conservatore Andrés Pastrana, che oggi fa parte dei «mediatori» uribisti.

Poi diventa ministro della Difesa di Alvaro Uribe, tra il 2006 e il 2009. Dal 2010 è presidente della Colombia, eletto con 9 milioni di voti. Non è mai stato sindaco, governatore o parlamentare. Nel 2010 ha vinto grazie all’appoggio di Uribe, grande sponsor del paramilitarismo. Nel 2014, però, Uribe si trasforma nel suo più acceso avversario, e Manuel Santos viene rieletto con i voti della sinistra che appoggia il processo di pace.

Ai giornalisti che – non paghi degli omicidi mirati, della repressione e dei programmi neoliberisti di Santos -, gli hanno chiesto quale sia «il suo vero colore politico» si è detto a favore di «una terza via»: come l’ex primo ministro britannico Tony Blair, di cui si dichiara amico e con il quale ha scritto sul tema un libro in spagnolo.