È musicista, poeta, scrittore, linguista, docente. Ha 55 anni e tre figli che suonano nel suo Alexian Group. «Spinelli è l’espressione artistica che ti comunica l’anima di un popolo e si fa universale; la cultura romanì è parte integrante della cultura italiana da secoli» dice Moni Ovadia che con lui si è esibito. È l’unico rappresentante italiano dell’Unione internazionale romanì (IRU) con sede a Praga, per la quale è ambasciatore dell’arte e della cultura nel mondo ed ha tenuto concerti in tutta Europa insieme all’Orchestra per la Pace e al suo gruppo; persino a Palazzo Chigi nel febbraio 2018 -prima che s’insediasse l’ineffabile governo attuale- per inaugurare l’ERIAC (istituto di arte e cultura rom) creato dal Consiglio Europeo. I suoi versi sono incisi sui monumenti di Berlino e Lanciano dedicati al genocidio nazista. In tali e molti altri ruoli, Santino Spinelli si batte strenuamente per i diritti della sua minoranza. Santino è figlio di Gennaro (1937), bambino superstite fra le migliaia di rom ristretti nei campi mussoliniani di internamento e deportazione che infestavano la Penisola: dal Friuli (Gonars) alle Isole Tremiti passando per l’Emilia (Berra, Prignano sulla Secchia) e concentrandosi particolarmente in Abruzzo e Molise per la maggiore presenza romanì (Agnone, Bojano, Chieti, Fontecchio, Torino di Sangro, Tossicia). Vado incontro all’artista supponendo di intercettare una comprensibile cascata di rabbia e rancore, ma rilevo solo ansia per un riequilibrio di verità e giustizia, sia pure tardivo: «i primi rom giunsero in Italia fra il Duecento e il Quattrocento, erano immigrati e profughi dai Balcani in fuga dall’impero ottomano, nel XV secolo in particolare ripopolarono terre e luoghi abbandonati, tipo il comune di Jelsi nel Molise, diventando stanziali, affiancando l’attività agricola ai mestieri tradizionali di artigiani del metallo, commercianti, allevatori… Durante il Rinascimento la musica etnosinfonica romanì influenza i musicisti colti, e nell’epoca romantica l’affermazione dei concetti di nazione, libertà, radici culturali, folklore locale fa pescare a piene mani nel nostro repertorio grandi compositori come Listz, Brahms, Schubert, e più tardi Ravel, Debussy, Bartok, Stravinskj…Con le leggi razziali del 1938, rom ed ebrei vengono marginalizzati e perseguitati allo stesso modo, analogamente a quanto successo in altre epoche, solo che la Shoah è finita nel 1945 e gli ebrei non sono più ghettizzati, noi invece… Oggi siamo una piccola minoranza, in prevalenza di ramo sinti al Nord e rom al Sud, ma la nostra è cultura millenaria di un popolo transnazionale; chi vive nei campi di segregazione razziale (questo sono i campi nomadi, luoghi di disprezzo e retaggio nazifascista) proviene ultimamente soprattutto dall’Europa orientale … Chi sbaglia è giusto che paghi, ma non si deve criminalizzare un’intera etnia. E non è vero che siamo nomadi per cultura e vocazione: nelle terre originarie indiane il popolo rom viveva nelle case, era stanziale come noi oggi, dovette sloggiare nell’XI secolo in seguito all’invasione persiana del loro territorio…»
IL PARTIGIANO CORSARO
Oggi il 90% dei rom europei vive nei Balcani e in Romania; in quest’ultima terra, l’Interpol sostiene che furti e illegalità compiuti da 1.800.000 rom sono prossimi allo zero. In Italia vivono fra 110.000 e 170.000 rom (di cui 26.000 nei «campi-nomadi») in gran parte nostri connazionali dal tardo Medioevo, uguali a noi nell’abitare e nel lavorare (mentre nei campi il 50% ha meno di 16 anni e solo il 2% supera i 60 anni), costituiscono lo 0,25% della popolazione, la percentuale più bassa d’Europa (in Francia è lo 0,62, in Spagna l’1,63, in Ungheria il 7,49). Gli etnofobi che lamentano l’illegalità nomadica plaudendo invece a rastrellamenti polizieschi e sgomberi forzati -uniti alla distruzione di averi elementari e alla deportazione- tacciono le condizioni terrificanti dei campi di segregazione (fame freddo malattie roghi), l’integrazione e la scolarizzazione negate, lo stigma pregiudicante che impedisce loro l’inserimento lavorativo e sociale, a partire dal diritto minimo a una residenza dignitosa. Lo stesso stigma patito dagli italiani nel recente passato in Francia, Stati Uniti, Germania, Belgio, Svizzera… Né occorre una propensione magnanima o un cervello superdotato per intendere che qualunque essere vivente -qualunque!- posto in condizione estrema viene indotto a delinquere per sopravvivere. Le 26.000 persone che una nazione senza vergogna chiude nei campi costituiscono circa cinquemila famiglie, nel Belpaese sono otto milioni gli appartamenti vuoti; se ci fosse una Sinistra degna di questo nome, farebbe una proposta di sinistra per alloggiare i diseredati…, e se avesse memoria storica e orgoglio di appartenenza penserebbe alla guerra di Liberazione e al contributo antifascista di rom e sinti, per esempio penserebbe ad Amilcare Debar, nome di battaglia Corsaro, combattente nelle Langhe con la 48ma Brigata Garibaldi al comando di Pompeo Colajanni.