Santiago del Cile è in guerra. Le proteste, iniziate nell’ottobre 2019 per l’aumento del costo del biglietto della metro, non sono mai finite; i disordini contro il governo crescono di giorno in giorno e gli abusi dei carabineros, denunciati sin da ottobre, continuano ancora oggi.

Le manifestazioni, che in poco tempo hanno portato in piazza oltre un milione di persone, chiedono eguaglianza sociale in un Paese dove l’1% della popolazione detiene il 26,5% della ricchezza e i diritti di base non sono garantiti.

OGGI I MANIFESTANTI chiedono le dimissioni del presidente Sebastian Piñera, giustizia per chi ha subito abusi dalle forze dell’ordine e il rilascio dei manifestanti incarcerati. Negli ultimi mesi si sono susseguite decine di denunce dei manifestanti che riportano visibili ustioni dopo essere stati colpiti dalle camionette idranti durante le proteste. I social sono invasi dalle foto dei corpi ustionati dei manifestanti e dalle loro testimonianze. È del 30 novembre scorso la denuncia del fotografo José Tomás Don-Oso che ha pubblicato su Twitter le foto delle ustioni presenti sulla schiena e sul collo.

Venerdì 27 novembre, sostiene José, stava lavorando come fotografo per documentare i disordini al centro di Santiago, quando è stato investito dall’acqua della camionetta idrante. Come ha spiegato su Twitter non era la prima volta, ma quel venerdì ha sentito immediatamente la pelle bruciare. E, nonostante indossasse caschetto, maschera antigas e impermeabile, le ustioni sono diventate in poco tempo così gravi che è stato costretto a recarsi all’ospedale. José ha denunciato l’accaduto alla Policía de investigaciones (Pdi).

Il primo dicembre il direttore dei Carabineros, Ricardo Yañez, ha dichiarato alla Cnn che si farà un’inchiesta a riguardo ma ha assicurato che si usano solo gas lacrimogeni per disperdere i manifestanti. Nel frattempo l’Istituto nazionale dei diritti umani (Indh) ha richiesto alle forze dell’ordine di dichiarare pubblicamente la percentuale di sostanze chimiche che si trovano nell’acqua degli idranti. Il 7 dicembre scorso la Comisión Chilena de Derechos Humanos, presentando un report di 19 pagine, ha denunciato i carabineros per l’uso eccessivo della forza ed elementi chimici utilizzati per disperdere i manifestanti.

La bandiera Mapuche e il messaggio «Il Cile resiste» nella Zona Zero (Foto Ap)

 

Nel report sono presenti vari casi fra cui quello di Vincente Rojas López, giornalista dell’agenzia Panoptik. Vincente ha dichiarato che lo scorso 13 novembre con altri colleghi, si stava avvicinando a un manifestante che i carabineros stavano arrestando quando diverse camionette idranti hanno iniziato a sparare ripetutamente contro di lui acqua mischiata ad agenti chimici.

VINCENTE, come i colleghi presenti, si era identificato come giornalista. In seguito si è accorto che poco distante gli agenti stavano portando via, in maniera violentissima con l’uso di gas e colpi di scudo, chiunque passasse nella zona (anche cittadini che non stavano protestando, ma solo camminando nell’area).

A quel punto si è diretto dal sottoufficiale in comando chiedendo perché stessero facendo quest’operazione. Gli ha risposto «Alle 8 stasera gioca il Cile, voglio vedere la partita». Vincente ha riportato gravissime ustioni al collo e agli occhi, come gli altri giornalisti presenti alla manifestazione, oggetto, per tutto il giorno, di attacchi con acqua e agenti chimici.

La capitale del Cile oggi esibisce le ferite di una città teatro di un conflitto: la cosiddetta «Zona Zero» dove si sono concentrate le proteste dal 2019 è un’area fantasma. Non c’è uno spazio bianco sui muri degli edifici, ogni centimetro è zeppo di graffiti e murales di protesta. A terra non ci sono più marciapiedi e si cammina sul terriccio, i manifestanti hanno usato le pietre come unica arma di difesa. La chiesa al centro della Zona Zero è stata data alle fiamme, come la maggior parte degli edifici circostanti.

DOVE C’ERA LA CUPOLA oggi c’è il vuoto e il rosone, con i vetri rotti, è circondato dalla scritta «Libertà per i Mapuche», il popolo originario del Paese. Bar, negozi e uffici sono tutti chiusi e al centro della zona campeggia un grande palazzo, un hotel di lusso che fino all’ottobre 2019 era in piena attività. Oggi è chiuso e il palazzo è devastato.

Ai muri moltissimi volti di donne con al braccio il pañuelo verde simbolo della lotta per la legalizzazione dell’aborto. Pareti intere sono occupate da manifesti con occhi disegnati, un riferimento agli oltre 400 manifestanti che hanno subito lesioni oculari durante le proteste. E ovunque si vede il viso di Camillo Catrillanca, il giovane leader mapuche ucciso con una pallottola alle spalle nel 2018 dai carabineros.

Oggi più che mai, Santiago rappresenta perfettamente la spaccatura di un Paese in cui le disuguaglianze sono sempre state forti. Ci sono due Santiago. Una è quella dei quartieri ricchi, dove si va ogni giorno a lavorare, a correre e le strade sono libere e pulite. E l’altra, della Zona Zero, in cui i marciapiedi, i lampioni e i negozi non ci sono più. I disordini e le manifestazioni di protesta ci sono quasi ogni giorno e portano in piazza migliaia di persone.

Il venerdì, giorno in cui le proteste si intensificano, si cammina tranquillamente nei quartieri limitrofi alla Zona Zero, sono moltissime le persone sedute al bar a godersi il sole dell’estate cilena. Ma avvicinandosi a Plaza Italia – epicentro delle proteste – si cominciano a sentire le sirene e gli occhi bruciano per i lacrimogeni. Le rive del fiume Mapocho sono circondate da scritte che chiedono giustizia per i manifestanti incarcerati e, nel punto esatto del ponte dove lo scorso 2 ottobre le forze dell’ordine hanno buttato giù un ragazzo di 16 anni, sono attaccate decine di bandierine per segnalare il luogo.

LA MAGGIOR PARTE dei manifestanti indossano occhialoni protettivi e maschere antigas. Sono donne e uomini di tutti i tipi e di tutte le età, moltissimi i giovani, anche minorenni.

Più ci si avvicina al centro delle proteste più si domanda a chi si allontana quale sia la situazione e quanti pacos (carabineros) ci siano. Una ragazza e un ragazzo spiegano che la situazione questo venerdì è molto pesante: «Non gli importa di nessuno, picchiano e portano via donne e minori. Siamo stati lì per ore». Hanno meno di 30 anni e gli occhi rossi a causa dei lacrimogeni e prima di andarsene dicono: «Scrivetelo che in Cile c’è un popolo che lotta».

Sul ponte arriva un carretto, sopra c’è un ferito protetto dai medici e dagli infermieri della «Brigada dignidad», volontari che dall’ottobre 2019 soccorrono i manifestanti feriti. Hanno scudi di lamiera con sopra croci azzurre e formano una barriera intorno al ferito. Al passaggio del carretto tutti i manifestanti si fermano e applaudono. Le proteste sono in diverse aree della Zona Zero, da una parte una banda suona canti di lotta popolare e blocca il traffico, in una via più centrale ci sono gli appartenenti alla «Primera Linea». Sono le ragazze e i ragazzi che da oltre un anno hanno deciso di frapporsi fra i manifestanti e i carabineros.

Due volontari della Brigada dignidad (Foto Ap)

 

RISCHIANO OGNI GIORNO la vita: la repressione contro i manifestanti è particolarmente violenta. Sin dai primi giorni della protesta le forze dell’ordine hanno deciso di puntare con le pistole agli occhi dei manifestanti e sono moltissimi i casi di uomini e donne rimasti completamente ciechi. Sono decine i video di riprese di telecamere di sicurezza che mostrano pestaggi violentissimi che hanno causato polmoni perforati, paralisi e morti, più di 40. Non si contano poi le numerosissime denunce di torture e abusi (anche sessuali) compiuti nei commissariati.

Ma perché si sono sviluppati questi disordini in Cile? Cosa chiedevano i manifestanti? Nell’ottobre 2019 gli studenti hanno iniziato a protestare contro l’aumento del costo del biglietto della metro e in pochissimi giorni sempre più persone si sono unite a loro in Plaza Italia, al centro di Santiago, per manifestare contro il governo e chiedere le dimissioni del presidente Piñera.

In brevissimo tempo il movimento spontaneo è cresciuto e ha portato in piazza oltre un milione di persone: in un Paese in cui le disuguaglianze sono fortissime, l’aumento del biglietto è stata la cosiddetta «goccia che ha fatto traboccare il vaso».

I CILENI CHIEDEVANO inoltre una nuova Costituzione e sono riusciti a ottenerla il 25 ottobre scorso: il 78,12% dei partecipanti al referendum ha votato per cancellare la Costituzione redatta durante il governo militare di Augusto Pinochet. Dopo la vittoria però i disordini non si sono placati, perché in tutto questo tempo gli abusi dei carabineros non si sono fermati.

Oggi la Zona Zero è ancora in piena guerriglia. Le barricate, fatte di rami di alberi, vanno a fuoco. Il cielo è nero per le nubi dei lacrimogeni e le camionette idranti corrono da una parte all’altra dei viali. I manifestanti ormai si sono dispersi, nei viali ci sono meno di una decina di persone, uomini e donne di diverse età, che protestano pacificamente. La camionetta idrante li raggiunge uno a uno e con la forza del getto d’acqua li scaraventa a terra e al muro. Corrono via spaventati con la pelle che brucia.