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Sant’Anna di Stazzema e la memoria che Napolitano lascia in eredità

Sant’Anna di Stazzema e la memoria che Napolitano lascia in ereditàL'abbraccio tra il presidente Napolitano e il suo omologo tedesco Gauck al sacrario di Sant'Anna di Stazzema

Storia Se è vero che la storia ha il compito di infastidire il presente e l’ultimo nobile atto del Presidente della Repubblica uscente si è consumato a Sant’Anna, siamo certi che il primo del nuovo capo dello stato sarà un itinerario di scuse e assunzione di responsabilità

Pubblicato più di 11 anni faEdizione del 26 marzo 2013

L’abbraccio con il presidente tedesco Joachim Gauck di fronte al monumento in ricordo della strage di Sant’Anna di Stazzema del 12 agosto 1944 (560 vittime civili) chiude il settennato presidenziale di Giorgio Napolitano con un ultimo atto pubblico di conciliazione della memoria europea.

Il gesto simbolico prova a restituire centralità alla storia al di là dell’ambito giudiziario che ancora divide Italia e Germania, visto che da noi il tribunale militare di La Spezia l’8 novembre 2007 ha definitivamente condannato 10 imputati tedeschi mentre quello di Stoccarda ha archiviato, tra le polemiche, l’inchiesta.

Cerimonie e ricorrenze però, fuori dal protocollo ufficiale rappresentano spesso l’occasione per provare a fare i conti con gli scheletri nascosti nei propri armadi. Così una volta “scoperto” nel 1994 quello della vergogna, che conservava centinaia di fascicoli concernenti migliaia di crimini di guerra nazisti in Italia, sembrerebbe oggi necessario guardare con animo sereno anche ai temi più controversi che hanno segnato il passato dell’Italia fascista alleata di Hitler.

Il Presidente della Repubblica li menziona e li declina come se fossero già divenuti coscienza nazionale, «Abbiamo ritrovato la via della riconciliazione con i popoli della ex Jugoslavia, contro cui si scagliò il regime fascista», ma in un paese dove si usa la storia come una clava nel dibattito politico o dove ci si autorappresenta attraverso l’immagine strabica degli «italiani brava gente» l’unico segno tangibile rimane la traduzione calendarizzata (27 gennaio giornata della memoria; 10 febbraio foibe; 17 marzo unità d’Italia; 9 maggio terrorismo) del concetto scivoloso di «memoria condivisa» che finisce per confondere più che chiarire la nostra storia patria.

Solo nel 2009 l’ambasciatore ad Atene Gianpaolo Scarante ha presenziato alla commemorazione dell’eccidio di Domenikon in Grecia (150 civili del villaggio massacrati per rappresaglia da soldati del regio esercito); degli oltre 200 siti d’internamento sparsi per tutta l’Italia dove furono deportati tra gli altri oltre 98.000 jugoslavi non si ha quasi memoria; sui crimini commessi dal fascismo in Africa e nei Balcani è calato l’oblio come sui nomi delle centinaia di militari italiani inseriti nella lista dei criminali di guerra delle Nazioni Unite che mai, come molti nazisti in fuga, hanno dovuto rispondere dei loro ordini di repressione di massa dei civili.

In compenso ad Affile viene eretto un monumento pubblico a Rodolfo Graziani e un ex presidente del consiglio definisce, il 27 gennaio 2013, quella di Mussolini, salvo le leggi razziali, «una buona politica» ottenendo un mese dopo quasi un terzo dei consensi elettorali.

Se è vero che la storia ha il compito di infastidire il presente e l’ultimo nobile atto del Presidente della Repubblica uscente si è consumato a Sant’Anna, siamo certi che il primo del nuovo capo dello stato sarà un itinerario di scuse e assunzione di responsabilità davanti al campo di concentramento di Rab, presso la cittadina di Podhum in Croazia o nella zona di Mallakasha in Albania.

* storico

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