Le tournée sono sempre un’occasione speciale per un’orchestra, che si presenta al suo meglio, non di rado investita anche di colori e orgoglio patrio, andando anche incontro a qualche incognite: fra le più comuni, il cambio di sala pressoché giornaliero, fatiche e imprevisti del viaggio, reazioni di pubblici diversi fra loro. Non poche di queste incognite si radunavano in occasione del debutto dell’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia alla Elbphilarmonie di Amburgo, il 25 gennaio, al cuore di un viaggio condotto da Düsseldorf a Baden Baden. Prima orchestra italiana a suonare nella sala aperta nel gennaio 2017 con enorme clamore, l’Orchestra Santa Cecilia e Antonio Pappano non proponevano un biglietto da visita casuale.

Già la sera precedente c’era stata una tappa del tour dal tratto significato simbolico e emozionale, il concerto alla Filarmonica di Monaco, poco distante dalla dimora storica di Richard Strauss, di cui Santa Cecilia ha eseguito il poema sinfonico Vita d’eroe ( Ein Heldenleben). La Elbphilarmonie creata dal duo Herzog e de Meuron all’esterno somiglia a un gigantesco naviglio di luci e ghiacci issato leggero su un dock in mattoni rossi, simile ai tanti che caratterizzano il porto sull’Elba. All’interno una sala di impatto visivo sorprendente, ampia ma non dispersiva con un dedalo di balconate, in cui il suono si spande nitidissimo e preciso. Il primo impegno di Antonio Pappano è stato dunque calibrare il suono dell’orchestra, per calibrare empiti, torniture e impasti sonori di Vita d’eroe. Ne è uscita una versione del poema sinfonico straussiano estremamente romantica, il ritratto vivido di un eroe eternamente giovane, scintillante di entusiasmo nel bagliore di ottoni e fiati, un velo di ineffabile malinconia restituito dalle frasi degli archi ( Roberto Gonzáles Monjas perfetto solista al violino) che hanno reso il brano celebre.

Non era però questa la sola sfida, né l’unica novità per l’Orchestra, che già a Roma prima del tour aveva ritrovato dopo decenni Anne Sophie Mutter, al suo primo incontro con Antonio Pappano. Il concerto di Beethoven è uno di quei lavori indissolubilmente legati alla fama della violinista tedesca, prossimi addirittura a una sorta di identificazione. Così, invincibilmente sicura e perfetta nel suo abito turchese, Anne Sophie Mutter ne propone un’interpretazione decisamente personale, da cui traspare il legame indissolubile con una tradizione germanica di cui si è trovata giovanissima a essere investita, con il privilegiato rapporto con Herbert von Karajan. Una lettura che forse in più passaggi, specie nel primo e nel secondo movimento, le arcate ampie, il gioco dinamico estremo sbilanciato verso le ragioni espressive del tardo Romanticismo, suona poco in linea con le esecuzioni asciutte e composte cui siamo abituati oggi.

Eppure ogni dettaglio si componeva infine in un quadro di proporzioni maestose, grazie al fascino di un dominio tecnico soggiogante, assecondato da Pappano e dall’orchestra di un dialogo serrato, nessuna intenzione, scarto e sfumatura lasciarti inascoltati. Il bis bachiano, la giga dalla Seconda partita, testimoniava la capacità di Anne Sophie Mutter di mantenere intatti il vigore la lucidità e la perfezione dei suoi primi anni. Successo convinto per solista, orchestra e per Pappano, particolarmente rimarchevole per un pubblico non aduso a manifestazioni di generosità prolungate.