Un’altra manina ha turbato i rapporti tra il ministero dell’economia e finanze (Mef) e il resto del governo. Si è introdotta nel ministero della Salute della cinque stelle Giulia Grillo che dovrà affrontare le conseguenze delle clausole di salvaguardia approvate dal suo governo nella legge di stabilità approvata sei mesi fa.

NEL PRIMO ARTICOLO della «bozza» per il «patto per la salute» sul quale il governo e le regioni si stanno confrontando è stata recepita la clausola che taglia gli aumenti annunciati al fondo sanitario (2 miliardi) nel 2020 e 1,5 miliardi l’anno successivo. Tale ipotesi scatterebbe anche nella sanità per permettere al governo di raggiungere «gli obiettivi di finanza pubblica» e le «variazioni del quadro macroeconomico». Dopo l’avvio della procedura per eccesso di debito da parte della Commissione Ue, e l’inizio delle trattative sul nuovo bilancio, questo scenario può rivelarsi riduttivo: il governo ha pensato di «bloccare» automaticamente 2 miliardi di euro. È anche possibile che ne serviranno molti di più per coprire un «buco» che, tra il 2018 e il 2019, ammonterebbe a nove miliardi.

SULLA SANITÀ questo scenario ha già fatto esplodere il fronte delle regioni che hanno annunciato «ritorsioni» contro il governo (Il Manifesto, 7 giugno). Ieri è stato il turno della ministra Grillo che ha denunciato la clausola «inserita nella bozza per espressa richiesta degli uffici del Mef – ha detto Grillo in un video pubblicato sulla sua pagina Facebook – È politicamente irricevibile e non viene dal ministero della salute. La sanità ha dato tutti i contributi che poteva dare ai tagli che sono stati fatti sulla finanza pubblica. Non è possibile prendere un centesimo». In una dichiarazione successiva ieri Grillo ha corretto il tiro. Ha ridefinito la «bozza» come un «canovaccio». Nella commedia dell’arte il canovaccio è la traccia sulla quale si sviluppa l’improvvisazione degli attori. Nella scienza triste del bilancio è un modo di calciare il pallone in tribuna e dire che è colpa dell’arbitro. O della «manina» di cui parlò Di Maio nel memorabile scontro con i «tecnici» dell’Inps, allora presieduto da Tito Boeri, a proposito di tabelle galeotte inserite nel «decreto dignità». In ogni caso Grillo ha assicurato di essere pronta a «dimettersi: non parteciperò a questa nuova mannaia».

L’IRA DELLA MINISTRA è giustificata. La Sanità rischia di dovere rinunciare ad alcune delle misure alle quali ha lavorato negli ultimi mesi: il taglio del superticket di 10 euro oppure le nuove assunzioni degli infermieri e medici necessari per evitare ricorrere il personale in pensione com’è accaduto caduto in Molise, oppure imporre l’esercizio di alcune funzioni mediche a personale non specializzato. La situazione è talmente grave che nel recente «decreto Calabria» deciso dal governo ad aprile, e approvato dalla Camera la settimana scorsa, per salvare la sanità calabrese è stato proposto di mettere al lavoro i medici specializzandi. Ipotesi incostituzionale che ha fatto scoppiare un pandemonio. Secondo l’Anaao Assomed nel 2018 mancavano all’appello 10 mila medici. Nel 2025 ne mancheranno 16.700. Anni di austerità e blocchi del turn-over, a cui si aggiungono gli effetti dei pensionamenti «quota 100», rendono esplosiva la situazione.

LA SINGOLARE PROTESTA di Grillo, in fondo i tagli sono stati previsti dal suo stesso governo, è l’anticipo dello scontro che provocherà la stretta pentaleghista sui conti pubblici. Se non sarà sulla Sanità, il taglio si abbatterà altrove. Oppure sarà spalmato, provocando effetti diffusi. Una situazione che rischia di rompere il gioco illusionistico realizzato dal governo attraverso l’uso di una neolingua orwelliana: i «tagli» sono chiamati «risparmi di spesa», ad esempio. È il caso del «reddito di cittadinanza» e «quota 100». Il governo «risparmierebbe» 1,3 miliardi di euro, per un errore di valutazione sulla platea delle misure bandiera di Cinque Stelle e Lega. Secondo il presidente dell’Inps Pasquale Tridico solo dal «reddito» arriverebbe un miliardo. Invece di reinvestirlo su questa misura, estendendo i criteri a chi non è povero abbastanza per fare domanda, Di Maio lo destinerà a una non precisabile misura per le «famiglie». Potrebbe finire così: la Lega ha chiesto di usare le risorse per colmare il «buco» dei conti. Lo scontro è all’inizio.

IN VIAGGIO NEL VIETNAM il premier Conte ha sentito la necessità di fare sapere che si tratta di «accantonamenti» e non di «tagli». «Le misure saranno attuate integralmente» ha detto. I tagli – pardon: i «risparmi» – ci saranno, ma con un altro nome. Li chiameranno: canovaccio.