Uno dei più pesanti conflitti sociali del nostro tempo e che oppone i cittadini alla sanità è quello che ha preso il nome di “contenzioso legale”. I malati o i loro familiari che per qualche ragione ritengono di essere stati curati erroneamente o in modo inappropriato ricorrono al tribunale per essere risarciti e avere giustizia . Dietro questo fenomeno, impensabile fino a soli 20 anni fa, vi è un formidabile cambiamento culturale: il “paziente” nel tempo smette di essere il “beneficiario” passivo della cura e diventa “esigente” e “contraente” cioè un soggetto attivo che avendo coscienza dei propri diritti entra in gioco con la sua opinione, le sue conoscenze, le sue esperienze, condizionando la storica autonomia del medico. Di fronte a questo processo di emancipazione di indiscutibile valore politico, che rientra in quello più grande della conquista dei diritti che ha caratterizzato il ’900, la medicina da una parte e la sanità dall’altra a tutt’oggi non sono riuscite ad adeguarsi, tradendo forti problemi di regressività. Il contenzioso legale non è altro che il costo scaricato soprattutto sui medici di una cattiva relazione tra loro e i malati. La medicina difensiva è la reazione opportunistica dei medici che tentano di difendersi dal contenzioso legale tarando i loro atti non sui bisogni effettivi dei malati, ma sulle procedure “salva terga”. Essa è inappropriata per antonomasia, ha un costo dell’ordine di 12/13 mld, ed è a tutti gli effetti uno spreco e nulla di più.

Per far fronte ai pesanti problemi dei medici e con l’intenzione di alleggerire quanto meno il loro innegabile disagio professionale, nel 2012,, viene approvata dopo anni di interminabili e inconcludenti discussioni una legge (Balduzzi n°189) con la quale si dicono due cose: il medico che si attiene a linee guida e a buone pratiche «non risponde penalmente per colpa lieve» (art.3 comma1), pur restando comunque l’obbligo di risarcire il danno nei confronti di «qualunque fatto doloso o colposo» (art 2043 cc).

Di recente è intervenuta una sentenza del tribunale di Milano (luglio 2014) che ha interpretato questa legge nel senso del «suo tenore letterale e all’intenzione del legislatore». Il giudice ha interpretato la legge convinto che essa «ha voluto indubbiamente limitare la responsabilità» dei medici alleggerendo «la loro posizione processuale». La sentenza distingue la responsabilità individuale del medico (contrattuale)da quella di sistema della struttura sanitaria (extracontrattuale). Nel primo caso se vi è un contratto tra malato e medico il paziente ha l’onere di provare la colpa del medico; nel secondo caso che è il più diffuso prevale la teoria del contratto obbligatorio atipico di assistenza sanitaria che scatta con la sola accettazione del malato in ospedale. Fino ad ora la responsabilità civile del medico, chiamato direttamente a risarcire al malato il danno provocato, scattava in base al solo “contatto”. Bastava cioè incontrare o parlare con il malato per far scattare una responsabilità. Tutti i sindacati medici hanno salutato con legittimo favore la sentenza di Milano, dal loro punto di vista essa rappresenta qualcosa che alleggerisce la loro pesante situazione professionale, e non vi è alcun dubbio che la sentenza, tanto per cambiare, tenta in qualche modo di compensare un colpevole vuoto legislativo. Dopo anni di rinvii, ancora oggi, la questione della obbligatorietà della copertura assicurativa è inevasa.

Ma molte sono le incognite e molti sono i possibili esiti paradossali di questa sentenza.
1)Essa è l’interpretazione singolare di un magistrato e come tutte le interpretazioni può essere in contrasto con l’orientamento prevalente della giurisprudenza, i precedenti pronunciamenti della Cassazione costituiscono una linea guida che è orientata ancora oggi a confermare la responsabilità civile del medico; 2)E’ possibile che, con questa sentenza, il fenomeno della medicina difensiva si espanda a causa del ricorso generalizzato a linee guida,(proceduralismo), se il medico segue le linee guida è esentato dalla colpa lieve; 3)Se la medicina diventa applicazione di linee guida meglio i computers dei medici, nel senso che sarebbe inutile parlare di centralità del malato, del prendersi cura, di medical humanities, di complessità, di relazione ecc; 4)se si va verso una medicina protocollare la cura sarà standardizzata a scapito dei bisogni individuali, singolari e specifici di ognuno di noi; 5)Con il passaggio dalla responsabilità individuale del medico alla responsabilità di sistema si rischia di estendere i comportamenti opportunisti ad ogni agente del sistema che diventerebbe responsabile per quota parte di un responsabilità di struttura; 6)Se si espande la medicina difensiva si espande un costo parassita enorme che allo stato attuale delle cose sarebbe non sopportabile dal sistema già duramente provato dalle limitazioni finanziarie; 7)Separare nettamente la responsabilità individuale da quella di sistema è una semplificazione indebita della complessità che riguarda l’errore medico, che da Reason in poi è visto come interazione tra un operatore, l’organizzazione e il contesto; 8)Escludere il ruolo dell’operatore dalle dinamiche sull’errore non aiuta in nessun modo a prevenirlo dal momento che si finirebbe per considerare l’operatore che sbaglia paradossalmente come indipendente dal sistema in cui sbaglia; 9)I malati con la situazione finanziaria delle Asl rischiano non solo di essere risarciti meno di quello al quale avrebbero diritto ma addirittura di non essere risarciti per niente; 10)con la responsabilità collettiva le Asl dovrebbero premunirsi con un sistema di prevenzione dell’errore medico il che significa che oltre a caricarsi dei costi parassiti della medicina difensiva, di quelli per la copertura assicurativa, dovrebbero anche provvedere a finanziare sistemi di risk management. Tali costi per quanto giustificati inevitabilmente toglierebbe parecchie risorse all’assistenza e alla cura dei malati fino a cadere nel paradosso che la sicurezza dei malati e dei medici è assicurata a scapito della qualità dei servizi cioè pagata in termini di inappropriatezza delle cure.

Concludendo: questa importante sentenza ha una problematicità intrinseca tale da riproporre la questione di come riempire un vuoto riformatore, progettuale e legislativo. Essa al malato non risolve il problema dell’errore e rende incerto il suo risarcimento, toglie ai medici un po’ di castagne dal fuoco ma li condanna ad essere delle trivial machine con una conseguente crescita della loro delegittimazione sociale. Come venirne fuori? Si tratta come medici di fare i conti per davvero con il cambiamento sociale, formarsi ad una cultura relazionale e spostare il baricentro delle politiche da quelle risarcitorie a quelle per la corresponsabilizzazione dei cittadini, definendo al contempo un efficace sistema assicurativo dal momento che la medicina è e resta un’impresa fallibile. Vorrei ricordare che laddove il medico ha buone relazioni con il malato e i suoi famigliari, non c’è da parte del cittadino nessun contenzioso legale. E allora perché limitarci a ridurre alla meno peggio i danni del contenzioso legale anziché ridurre il contenzioso legale in quanto tale?