Fino all’altro ieri serpeggiava tra i madrileni un fondato timore: che la sanità pubblica regionale passasse in mani private. Così non è stato e il timore ha lasciato spazio ad una certezza: protestare serve. A bloccare, per esempio, il piano di privatizzazione messo a punto dal governo regionale del Partido popular nell’ottobre del 2012 per cedere (peraltro a società vicine al Pp) la gestione di sei 6 ospedali della regione di Madrid e numerosi consultori. Una «ristrutturazione» con forti connotati ideologici che avrebbe coinvolto 5mila lavoratori, con il consueto corollario di tagli agli stipendi e stillicidio di posti di lavoro. Invece, quella che avrebbe dovuto essere l’ennesima tappa della marcia neoliberista del Pp madrileno si è trasformata nella disfatta più bruciante per Ignacio González, presidente della regione, e Javier Fernadez-Lasquetty, consigliere regionale per la Sanità ed ex segretario generale della Faes, il think tank noeliberal presieduto dall’ex premier popolare Aznar.

Con gli ospedali già aggiudicati (adesso si teme una possibile richiesta di risarcimento dalle tre società aggiudicatarie), infatti, i sogni di privatizzazione dell’amministrazione, sono letteralmente naufragati nella furia della marea blanca, il compatto movimento dei medici controriformisti, che, appoggiato dalla quasi totalità della cittadinanza, ha rimandato al mittente il progetto di svendita. C’è voluto tempo, ma gli indignados in camice bianco – guidati dall’Asociación de facultativos especialistas de Madrid (Afem) – hanno dimostrato una determinazione all’altezza della causa: dal novembre 2012 è stato tutto un susseguirsi di scioperi e proteste culminate con le manifestazioni nazionali del 17 febbraio 2013: solo nei primi 5 mesi di contestazioni, 50mila visite cancellate e più di seimila operazioni rimandate che hanno messo all’angolo l’amministrazione. Il colpo del ko è arrivato però sul piano giuridico, con il ricorso dell’Afem, finanziato da una maxi colletta di 200mila euro e accolto l’11 settembre scorso dal Tribunal Superior de la Justicia di Madrid, che ha ordinato la sospensione del processo di privatizzazione. Da allora sono seguiti tre mesi di silenzio rotti, l’altro ieri, dall’annuncio di González e Lasquetty: gli ospedali resteranno pubblici. «Siamo molto soddisfatti – ha dichiarato Patricia Alonso, uno dei componenti più attivi del direttivo dell’Afem. Abbiamo dimostrato che è possibile affossare in modo trasparente una riforma che non aveva nulla a che vedere con le ragioni economiche sostenute dall’amministrazione. Il governo – ha aggiunto – non ha saputo spiegare in che modo la privatizzazione avrebbe potuto ridurre i costi mantenendo inalterata la qualità del servizio sanitario; noi, invece, abbiamo dimostrato con argomenti economici e scientifici che la sanità pubblica implica un risparmio per la regione. È una questione puramente professionale, non c’è nulla di ideologico». Non così per il governo regionale, che ha fatto del piano di privatizzazione una guerra di trincea ideologica persa clamorosamente (e non è neppure la prima: il fiasco di Eurovegas, un progetto affossato sul nascere per un monumentale casinò, voluto dal governatore González, brucia ancora). Una disfatta che ha portato alle dimissioni di Lasquetty e che potrebbe avere ripercussioni sulle elezioni europee e sulle regionali dell’anno prossimo, come hanno rilevato con preoccupazione i vertici nazionali del Partido popular, che deve anche gestire le polemiche per la nefasta legge sull’aborto del ministro della Giustizia Gallardón.

Per un paese con il piede della Troika sul petto, stremato da disoccupazione e aumento galoppante della povertà, il successo della protesta bianca è un segnale di speranza che dà un riscontro ad uno degli slogan della protesta: «Sí, se puede». Il 25,8% degli spagnoli ha partecipato ad almeno una protesta nel 2013: con i partiti maggioritari (Pp e socialisti) ai minimi storici, la ventata di aria fresca nella stagnazione economica e sociale, può solo arrivare dal basso.