Non c’è pace per la sanità lombarda. Lo tsunami della pandemia ha portato alla revisione della riforma sanitaria varata dalla giunta Maroni nel 2015 su richiesta del ministero della Salute. E adesso anche la riforma della riforma, disegnata da Letizia Moratti e approvata lo scorso novembre, secondo il governo deve essere cambiata. Riferendo al consiglio, ieri l’ex-ministra ha parlato di semplici «imperfezioni formali o burocratiche». Ma i rilievi sollevati dai ministeri dell’Economia, della Salute e della Giustizia obbligheranno la maggioranza a tornare sulla legge in molti punti. Lo ha ammesso lo stesso Fontana in una missiva inviata al governo il 10 febbraio, in cui si impegna a sottoporre al consiglio regionale le modifiche richieste «entro la fine del prossimo mese di marzo» nel cosiddetto «ordinamentale», una sorta di «milleproroghe» su scala regionale.

I solleciti del governo riguardano numerose questioni formali, ma anche diversi nodi sostanziali. Come hanno più volte denunciato le opposizioni, la nuova legge Moratti non modifica l’impianto generale del modello sanitario lombardo a trazione privata disegnato da Formigoni nel 1997 e attenuato a malapena da Maroni. Lo fa notare anche il ministero dell’Economia: l’«equivalenza e l’integrazione» dell’«offerta sanitaria delle strutture pubbliche e private accreditate» ribadita nella nuova legge regionale non è coerente con il «preminente ruolo dell’ente pubblico» previsto dalla legge nazionale del 1992. Angelo Barbato, coordinatore di Medicina Democratica, sintetizza efficacemente il concetto: «Solo la sanità pubblica può definire e programmare il servizio e decidere quali prestazioni affidare al privato».

Più puntuali ma non meno fondati i rilievi del ministero della Salute. Gli uffici di Speranza suggeriscono che ad accreditare le strutture private sia la Regione e non le singole aziende sanitarie territoriali come prevede la riforma Moratti. Era una richiesta anche dell’opposizione, ricorda Carlo Borghetti, consigliere regionale democratico. «Le Ats – spiega – sono soggetti troppo deboli per contrattare con le grandi imprese della sanità privata presenti in Lombardia, e la regione perderebbe ogni capacità di programmazione e indirizzo».

Rilevante anche l’obiezione sulle Case della comunità, previste dal Pnrr come ambulatori interdisciplinari in cui alla medicina generale si affianchi anche quella specialistica e la diagnostica di base. Secondo la riforma Moratti invece «possono essere gestite (…) esclusivamente dai medici di medicina generale o dai pediatri di libera scelta riuniti in associazione o in cooperativa». In sostanza, se fosse per Fontana e Moratti anche le Case di Comunità finirebbero nell’alveo della sanità privata. «Il rischio è che diventino la porta di ingresso da cui smistare i pazienti verso i redditizi ospedali privati», dice Borghetti. Il ministero della Salute chiede anche di frenare la lottizzazione delle aziende sanitarie: le nomine dei direttori rappresentano un mercato delle clientele a disposizione degli amministratori locali. La Regione chiedeva di sceglierli da una lista di ben trecento nomi, con una discrezionalità pressoché totale. Dopo l’obiezione degli uffici romani, Fontana ha accettato di ridurre la short list a 150-200 nomi.

Riequilibrio tra pubblico e privato, medicina territoriale, lottizzazione: con una lista di obiezioni così lunga e rilevante, il governo avrebbe potuto respingere al mittente la contro-riforma. Dopo il fallimento lombardo, con quarantamila morti per Covid registrati nella regione, anche i cittadini lombardi si attendevano una revisione più radicale del servizio sanitario. Invece, i ministri hanno preferito accontentarsi di un gentlemen agreement con Fontana. Che in cambio della bollinatura della legge si è impegnato – solo sulla carta – a qualche ritocco per accontentare il governo. Il tutto si è svolto con ben poca trasparenza. Come è emerso nelle ultime ore, i primi rilievi dei ministeri sono pervenuti al Pirellone già a gennaio. Il 7 febbraio, a porte chiuse, i tecnici di Roma e Milano hanno persino concordato gli emendamenti da apportare alla riforma. Del tutto escluso dai giochi il consiglio regionale, cui pure toccherebbe il compito di fare le leggi e non solo riceverle già pronte nell’uovo di Pasqua.