Un anno e mezzo senza stipendio, pari a 330 mila euro, e la prospettiva di non recuperare più 486 mila euro di già accreditati dalla regione Lazio. È la condizione in cui si trovano oggi i 40 medici, psicologi, terapisti, logopedisti e amministrativi, tre dipendenti, 37 partite Iva e collaboratori del Ce.Fi. un centro di riabilitazione ambulatoriale e domiciliare, accreditato con la Regione Lazio, attivo a Ciampino e nei Castelli Romani.

Il Ce. Fi è uno dei numerosi centri sanitari privati-convenzionati che oggi articolano il 75% della sanità laziale. Dall’ente governato dal centro-sinistra di Nicola Zingaretti ha ricevuto un budget da 1 milione di euro annuo per 143 posti in convenzione, il 20% dei quali destinati ai bambini con disabilità motorie o cognitive. Un servizio fondamentale, visto che nella zona tra Roma sud, Morena e Velletri non ne esistono di simili per almeno mezzo milione di abitanti. Ritardi di pagamento della regione e la mala gestione del centro hanno portato al tracollo: 1,7 milioni di euro di debito con Equitalia. Soldi che oggi nessuno vuole pagare, né la Regione né il consorzio di cooperative Valcomino che si è detto interessato a rilevare il ramo d’impresa, ma non i debiti. Al posto loro lo hanno fatto i lavoratori.

Sembra infatti che qualcuno alla regione, all’insaputa della Cabina di regia della Sanità (commissariata e senza assessorato), abbia versato i 486 mila euro a Equitalia, come saldo del debito. Per i 40 lavoratori è stata una catastrofe. Molti di loro, per anni, hanno svolto un lavoro dipendente mascherato da partita Iva. Alcuni di loro sono in grande difficoltà. Ada dice «di avere lavorato tantissimo fino alla fine. Era la mia principale fonte di reddito. Poi mi hanno sfrattata. Vorrei fare il mestiere delle badanti. Almeno loro vengono tutelate dalle famiglie. Le imprese calpestano i diritti fondamentali delle persone. Mi sento come Paolino Paperino». Con un anno e mezzo di stipendio in meno sulle spalle Barbara ha lavorato fino all’ultimo giorno quando ha trovato l’insegna smontata e la luce tagliata. Oggi dice di «volere una soluzione che mi permetta di dire ai miei due figli di 18 e 21 anni che qui c’è un futuro e di non andare all’estero».

Una storia della sanità italiana al tempo dell’abbattimento dei costi del welfare dove tra appalti e subappalti si perdono per strada i diritti e le competenze necessarie a comprendere e intervenire tempestivamente sui disagi dei bambini e degli adulti. Una storia che presenta tuttavia una novità. I lavoratori hanno incontrato le Camere del Lavoro Autonomo e Precario (Clap), un’esperienza di auto-organizzazione per partite Iva e precari.

Nate un anno fa a Roma, hanno partecipato allo sciopero sociale di venerdì 14 novembre e oggi hanno la sede alle Officine Zero occupate, nell’atelier Esc a San Lorenzo, Lab Puzzle e al centro sociale Corto Circuito. Insieme con i lavoratori del Ce.Fi. hanno inaugurato una nuova forma di «sindacalismo sociale» aprendo una vertenza con la regione.

«Non c’è categoria, ordine professionale, che possa tenere assieme lavoratori dei call center e delle pulizie, grafici e disoccupati, ricercatori e operatori sociali – scrivono sul loro sito le Clap – bisogna costruire il comune delle lotte e della solidarietà». Domani è previsto un tavolo con Regione, cabina di regia e consorzio dove si proverà ad ottenere la garanzia del pregresso e la continuità produttiva.