Le elezioni regionali saranno quasi certamente rinviate. Il referendum sul taglio dei parlamentari slitterà ancora e così anche il voto per il rinnovo di un migliaio di consigli comunali tra cui quattro città capoluogo. Non è ancora notizia certa, mette le mani avanti il ministero dell’Economia. Questione di diplomazia, in questo momento più che mai necessaria. Prendere una simile decisione senza consultare l’opposizione sarebbe uno sgarbo poco tollerabile.

Ovvio che le opposizioni si siano inalberate quando hanno letto la bozza del prossimo decreto, che posponeva le elezioni regionali di tre mesi, rinviava la fissazione del referendum entro 240 giorni e stabiliva che le elezioni comunali si terranno in una domenica, per il primo turno, tra il 15 ottobre e il 15 dicembre.

LA DESTRA HA LETTO, si è imbufalita, ha protestato. Il governo ha ingranato la retromarcia. Le bozze in circolazione non sono definitive. Il vero decreto si conoscerà solo quando sarà stato formalmente approvato. Cioè lunedì prossimo, probabilmente.

Il testo è stato infatti diviso in due decreti distinti. Il primo, che dovrebbe essere approvato dal consiglio dei ministri di oggi, si occuperà essenzialmente dell’emergenza numero uno, quella sanitaria. Il decreto «economico» invece arriverà all’inizio della prossima settimana e i probabili rinvii delle urne dovrebbero essere in quel documento anche se nel caos di queste ore non è escluso che finiscano invece in quello sanitario e neppure che i due decreti finiscano per riunificarsi.

La principale novità del decreto economico, rispetto alle scelte già filtrate nei giorni scorsi, dovrebbe essere l’abbassamento delle bollette per tutto il 2020, ma è una decisione ancora in sospeso. Certissimo invece l’aumento di almeno un miliardo per il Fondo garanzia Pmi, uno stanziamento che parte dai 4 miliardi di euro ma che probabilmente salirà nelle prossime ore per gli ammortizzatori sociali e il rinvio delle scadenze Iva e Irpef del 16 marzo.

La sospensione di cartelle e mutui, già prevista per le prime zone rosse, potrebbe essere allargata a tutto il Paese. Sicuri anche il bonus baby sitter, in alternativa al congedo parentale, e l’equiparazione della quarantena alla malattia.

I NUOVI DECRETI non prevederanno ulteriori inasprimenti e nuove limitazioni. Non significa che non ci saranno: al contrario si sono già registrati ieri e proseguirà così nei prossimi giorni. La strategia del governo però non contempla, per ora, nuovi annunci fragorosi. Lo sfondamento c’è già stato con il «passo ultimo» annunciato dal premier Giuseppe Conte due giorni fa. Su quella base si procederà intervenendo di giorno in giorno e in ordine sparso, con scelte delegate alle regioni e ai comuni. Così il governatore Attilio Fontana ha scelto ieri drastiche limitazioni del trasporto pubblico in Lombardia e i sindaci di Roma e Milano hanno disposto la chiusura dei parchi pubblici. Il ministero dei Trasporti è invece intervenuto per decreto nazionale sui treni tagliando le corse per il trasporto passeggeri.

Il capitolo più dolente, quello delle fabbriche e delle aziende ancora aperte, non può però essere considerato una semplice estensione delle misure drastiche già decise. Richiede, anzi impone un intervento specifico. Che però non sarà un decreto ma una lista di «linee guida» al centro degli incontri in videoconferenza di ieri mattina e poi di ieri notte ma anche delle trattative proseguite tutto il giorno con le Regioni.

«LA SICUREZZA dei lavoratori è un dovere morale», riconosce Conte. Promette che ci saranno mascherine e guanti di lattice per tutti. Il Pd, col vicesegretario Andrea Orlando, si impegna: «Non si lavora se non c’è sicurezza». Ma sono parole. Confindustria non vuole chiudere, il governo lo esclude e non solo per le filiere irrinunciabili perché riguardano la sanità o i servizi essenziali.

I sindacati vogliono la chiusura almeno fino al 22 per la sanificazione degli ambienti e minacciano lo sciopero. Gli scioperi si sono già moltiplicati anche ieri e in ballo c’è l’elemento forse più strategico di tutti per fronteggiare il virus, la coesione sociale. A frenare Conte sono le resistenze degli industriali e del ministro Gualtieri ma è anche la consapevolezza di quanto un blocco della produzione verrebbe sfruttato a proprio vantaggio dalla concorrenza degli altri Paesi europei. Però un’Unione incapace di solidarietà neppure di fronte alla catastrofe non ha molto senso.