Le aziende sanitarie della Campania dovranno assorbire le graduatorie di mobilità, indire concorsi pubblici e «non ricorrere a forme alternative di reclutamento» recita il decreto regionale numero 6 dell’11 febbraio 2016. Con il commissariamento della Sanità nel 2010, in Campania si sono persi 14mila posti di lavoro, rendendo quasi impossibile fornire il servizio e infatti i Livelli essenziali di assistenza sono precipitati all’ultimo posto in Italia. Due anni fa è iniziato lo sblocco parziale del turnover che, dall’anno prossimo, sarà del 100%. Ieri mattina il Movimento infermieri Campania è andato a protestare all’ingresso degli uffici regionali: mancano 2mila infermieri nelle strutture pubbliche, chiedono che vengano selezionati dalle graduatorie di mobilità e con il concorso, «come avviane in qualsiasi altra regione, dal nord al sud Italia» spiega Fabio Gentile, 12 anni di esperienza alle spalle di cui 6 a Piacenza e 5 a Bari. Chiedono che si torni alla gestione ordinaria, chiudendo definitivamente la porta sugli ultimi venti anni in cui i contratti precari hanno reso il settore una giungla, aprendo la porta agli affari dei privati.

I dati: 900 sono gli infermieri campani che lavorano in strutture pubbliche fuori regione; circa 2mila i precari (vincitori di avvisi pubblici, lavoratori a tempo determinato o a partita iva) già stabilizzati; circa 1.020 gli interinali assunti attraverso bandi. Ad esempio, l’ospedale Cardarelli di Napoli nel 2016 ha messo a bando una gara per 76 infermieri per 3 anni, costo 13milioni più Iva. Al Sant’Anna e San Sebastiano di Caserta ancora nel 2016 24milioni più Iva a bando per reclutare per 3 anni 164 interinali. Il budget pesa sulla voce «beni e servizi» cioè quella che dovrebbe servire ad acquistare barelle, coperte, attrezzature, divise. Il lavoratore incassa lo stesso stipendio del dipendente fisso ma costa alle casse pubbliche il 33% di più, non matura il diritto alla stabilizzazione e non fa corsi di aggiornamento come il collega entrato con concorso.

È un grande affare che si spartiscono poche agenzie interinali, la maggior parte con sede legale in Lombardia: gira voce nel settore che siano in rapporti stretti con le strutture pubbliche e alcuni sindacalisti delle sigle di settore. Così, dicono le voci, con le agenzie si aggirano le norme per reclutare il personale nelle strutture pubbliche, si favoriscono le clientele elettorali e quelle familiari. Ad esempio nel pronto soccorso di Aversa, il secondo per accessi dopo il Cardarelli, lavorerebbero il figlio e la figlia con relativo fidanzato di un dipendente e sindacalista. Che qualcosa non vada lo dicono i fatti: all’ospedale Moscati di Avellino il 17 dicembre 2016 viene pagata una commissione per redigere una graduatoria con 600 infermieri da assorbire ma il 10 gennaio viene indetta una gara per 50 unità attraverso agenzie interinali.

Ancora più singolare la situazione al Monaldi di Napoli, un ospedale d’eccellenza specializzato nella cura delle malattie pneumo-cardiovascolari, dove si spendono 20milioni di euro più Iva all’anno per 208 interinali con cinque graduatorie congelate e un concorso appena bandito. Il regolamento del concorso assegna 20 punti ai titoli, 10 a chi lavora già con la struttura e 70 al colloquio orale: praticamente un vestito cucito addosso agli interinali. «La legge è molto chiara – spiega Giovanni Petrillo -: i punti attribuiti al colloquio orale non possono superare quelli stabiliti per i titoli». Petrillo ha vinto nel 2006 il concorso per infermieri in Emilia Romagna, ha deciso di partecipare perché in Campania l’ultimo era stato bandito nel 2002 e da allora più nulla. Dodici anni di esperienza tra Reggio Emilia, Parma, Bari, ha avuto il trasferimento a Caserta per ricongiungimento familiare ma solo per 36 mesi. Senza il ritorno a una gestione ordinaria e con concorsi trasparenti sarà costretto a riprendere la valigia e partire.