Rita Maestre è stata portavoce della sindaca di Madrid, Manuela Carmena, durante i suoi quattro anni di mandato (2015-2019), attualmente è consigliera comunale nel gruppo di Más Madrid, partito nato da quell’esperienza di governo e che oggi si trova all’opposizione della giunta Almeida (Pp-Cs).

Quasi 6 anni fa, nel maggio 2015, le elezioni amministrative portarono al comune di Madrid una giunta di sinistra con a capo la sindaca Manuela Carmena. Come si arrivò a quella storica vittoria?

Fu la conseguenza di un ciclo politico di enormi mobilitazioni nate dopo la crisi del 2009-2010, a difesa della sanità pubblica, per l’educazione pubblica, contro la corruzione – che aveva colpito in modo particolare il Partido Popular – contro i tagli. Fu dopo quel ciclo di mobilitazioni che si arrivò alla vittoria delle “alleanze municipaliste” della primavera 2015 nelle più grandi città spagnole. Non fu solo una strategia elettorale ma conseguenza di un processo sociale e politico.

Come mai nel maggio del 2019 la sinistra non vinse di nuovo a Madrid?

Nel 2019, dopo 4 anni di giunta Carmena, il partito Más Madrid (che aveva come candidata la sindaca uscente) fu il partito più votato (31%). Ma non bastò. Il ciclo era cambiato: il conflitto catalano, un tema che in Spagna ha valenza di enorme portata, aveva portato alla mobilitazione della destra e alle urne si voleva castigare l’indipendentismo. Le elezioni amministrative (e regionali) del 2019 si svolsero a Madrid con il pensiero rivolto alla Catalogna.

Spostiamoci dal livello municipale a quello regionale. Il 4 maggio si terranno nella Comunità autonoma di Madrid le elezioni regionali anticipate. Quali sono le urgenze per il suo partito, Más Madrid?

Nella regione di Madrid da molti anni c’è uno svuotamento e un’erosione dei servizi pubblici, in parallelo con una riduzione generalizzata delle tasse e un aumento del debito. È una regione che è stata trasformata in oasi fiscale dai governi regionali (di destra dal 1995). Ci sono grandi patrimoni che cambiano residenza trasferendola a Madrid per pagare meno tasse. Se però i soldi non entrano con le imposte, non escono ad esempio in termini di servizi pubblici. Una delle cose più urgenti per un governo del cambiamento a Madrid è abbassare il numero di alunni per classe, che ha dei livelli da terzo mondo nella regione madrilena. Altro problema, le liste di attesa troppo lunghe per una visita da un medico specialista, con attese di mesi.

Lei conosce bene l’Italia, pensando anche a questi mesi di pandemia, ci sono dei confronti possibili da fare fra la regione Lombardia e la regione di Madrid, rispetto a un certo modello di gestione della sanità?

In termini di gestione pubblica io credo di sì. A Madrid la strategia neoliberista per eccellenza è stata quella di erodere i servizi pubblici spingendo chi può pagare ad andare dal privato. L’idea è che la sanità pubblica resti l’ultima risorsa, da cui si scappa se te lo puoi permettere. A Madrid, inoltre, vi è un modello basato sull’immagine: si costruiscono ospedali, ma è la regione spagnola con il minor numero di medici di famiglia per abitante.

Nel principale partito del centro-sinistra italiano, il Pd, ultimamente si è discusso molto sull’arretratezza nel campo della parità di genere. Cosa può imparare la politica italiana dall’esperienza spagnola?

In Spagna tutto è cambiato nel 2007 quando venne approvata la ley de igualdad (governo Zapatero), che rende obbligatorie le quote paritarie fra uomini e donne. All’inizio in tanti criticarono quel sistema, oggi è una cosa assolutamente normale. Questo ha reso più facile che nei partiti entrassero donne straordinarie.

Cosa pensa della nascita del governo Draghi in Italia?

Quando ha preso vita il governo Draghi ho ricordato quanto lottammo contro ciò che lui rappresentava, proprio negli anni del movimento 15M, che era un movimento contro l’establishment europeo. Capisco però che la situazione sia molto complicata, di grande instabilità, ed un governo tecnocratico offre maggiori certezze, specie se nel pieno di una crisi. In politica però è positivo non essere d’accordo, dibattere. La tecnocrazia in un certo senso toglie una parte della legittimità al dibattito politico.