Le polemiche tanto minacciate si sono sgonfiate, come era prevedibile e giusto. Se ai cattolici veneti più intransigenti erano suonate blasfeme le anticipazioni pruriginose dei giornali, era stato lo stesso vescovo di Vicenza a smentirle. Così, solo una sparuta rappresentanza di bigotteria locale si é presentata davanti al palladiano teatro Olimpico agitando il rosario, per altro tenuta a bada da un consistente cordone di polizia, la sera del debutto di Angelica Liddell col suo nuovo spettacolo. Quanto ai fascisti di Forza Nuova, hanno addirittura sbagliato teatro, andando a protestare davanti al teatro Comunale, invece che all’Olimpico. Sceneggiatura da farsa per una tempesta in un bicchier d’acqua.

Perché lo spettacolo di Liddell era invece serissimo, e per niente pretestuoso. La Prima lettera di san Paolo ai Corinzi – Cantata Bwv4, Christ lag in todesbanden. Oh, Charles! riporta in modo assai interiorizzato quello che è il fondamento del cristianesimo, ovvero la morte e la resurrezione di Cristo. Con una attenzione non lontana da quella che Emmanuel Carrère dedica al medesimo dogma di fede ne Il regno, ormai un best seller di Adelphi. Quello che san Paolo cerca di spiegare nella sua epistola alla composita e riottosa comunità proto cristiana di Corinto, è proprio quel punto nodale, impersonato da Maria Maddalena, già peccatrice intensamente umana, e poi prima testimone del mistero fondamentale per la fede.

L’intervento più «violento» della performer catalana è quello che subito abbacina come vero coup de theatre chi entra nella cavea dello storico teatro vicentino: un enorme panno scarlatto copre l’intera superficie calpestabile del palcoscenico, scoprendo solo, in primissimo piano, una grande riproduzione di una famosa e languida Venere di Tiziano. Sangue, peccato o sentimento che sia, è quella la base su cui si muovono alcune figure allegoriche: un uomo nudo interamente dipinto d’oro, una serie di Maddalene, chi addobbata nelle vesti e chi pura nella propria nudità, chi perfino rapata in diretta da forbici giustiziere.

Allegorie e figure canoniche di antichi catechismi, quasi di ispirazione dantesca, cui prende la scena, quando compare nel suo abito ben bardato di storia, la stessa Liddell, che di quella testimonianza è portatrice prima, quasi accesa rappresentante di una grazia che la inonda e la rende loquace come certe figure basilari della mistica, da Juan de la Cruz a Teresa d’Avila. O anche Emily Dickinson, spiega fuori del palcoscenico: «Anche lei una grande mistica, che realmente si è occupata della disillusione, stadio fondamentale per mettersi in rapporto con il proprio spirito, e quindi con dio. Non necessariamente il Dio istituzionale del cattolicesimo, piuttosto nel conflitto che ciascuno ha con se stesso, da cui nasce la necessità di trascendenza, necessità di qualcosa che non ha a che fare con la vita quotidiana».

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E’ lì forse il vero e unico scandalo: nell’attesa voyeuristica dello spettatore, memore di sue altre performance più scatenate, e destinatario questa volta di un approfondimento impetuoso e quasi «scientifico» di un mistero della fede. Per il quale l’artista non rinuncia affatto alla propria laicità (conquistata dopo una educazione religiosissima e una infanzia passata a scuola dalle suore), ma come una sfida che vuole indagare la fede come frontiera dell’umana ragione.

Proprio in questa ricerca o necessità di qualcosa di sovra-materiale, Liddell si è applicata, nell’ambito di un progetto affidatogli dal Teatro pubblico pugliese, al rapporto con la divinità delle tarantate del Salento. Un lavoro i cui risultati si possono vedere proprio oggi e domani a Brindisi, e che certo si lega anche alla Lettera ai Corinzi presentata a Vicenza. «Occupandomi di queste donne in una situazione critica – spiega l’artista – e del loro rituale per superarla, non solo di pensiero ma soprattutto fisico attraverso la danza che le porta ad una sorta di trance, ho scoperto dai libri bellissimi di Ernesto De Martino che il protettore delle tarantate, destinatario delle loro preghiere, era proprio san Paolo, ancora lui: una figura fondamentale per approfondire la mia indagine su sacro e profano». Sono lampi, o almeno suggestioni che lo spettacolo dell’Olimpico lascia intravedere, più espliciti delle stesse assi che a venir accostate evocano la croce.

La Lettera di San Paolo si fa diagramma di un percorso contraddittorio e misterico, laico e ambizioso. Una artista importante come Liddell non si tira indietro nella provocazione, e con molta semplicità, quasi umilmente, chiama il pubblico a testimone di una ricerca che punta all’infinito. Anche quando ci sorprende o ci sconcerta. Basti pensare all’immagine centrale del primo spettacolo in cui l’abbiamo applaudita in Italia, a Modena per Vie: la celebrazione dell’esperienza della violoncellista Jacqueline du Prè, musicista eccelsa morta prematuramente giovane, in cui Liddell si stendeva come cadavere pulsante attorniata da un grande cerchio fatto da violoncelli. Foto simbolo di un infinito duello tra umano e trascendenza. Titolo: Ti renderò invincibile con la mia sconfitta.