Missione compiuta, «mission accomplished», così ha twittato Trump la mattina seguente il raid in Siria, citando – forse inconsapevolmente – la sfortunata affermazione fatta da Bush jr del 2003, per annunciare al suo esercito e al mondo la fine delle operazioni militari relative all’invasione dell’Iraq, tutt’ora in corso.

Sull’opportunità di sferrare questo attacco sono in molti ad avere dei dubbi, e più di tutti il senatore del Vermont Bernie Sanders, il primo a parlare proprio mentre i missili si dirigevano verso la Siria, portandolo a scrivere su Twitter: «È il Congresso, non il presidente, che ha la responsabilità costituzionale di fare la guerra. La comunità internazionale deve sostenere il divieto dell’uso di armi chimiche, ma non è chiaro come gli attacchi illegali e non autorizzati di Trump sulla Siria raggiungano questo obiettivo».

Dopo 17 anni di guerra in Afghanistan e 15 anni di guerra in Iraq, il Medio Oriente ha bisogno di una strategia politica di pace, non più interventi militari americani, ha continuato Sanders interrogato dai giornalisti, e a pensarla come lui sono in molti nel partito democratico, come la ben più moderata leader democratica Nancy Pelosi per la quale «una notte di attacchi aerei non può sostituire una strategia coerente», o la senatrice del Massachusetts Elizabeth Warren, che ha chiesto a Trump di fornire «la sua linea strategica completa con obiettivi chiari e un piano per raggiungerli»; richiesta simile è arrivata anche dal senatore del New Jersey Cory Booker, e anche dalle file repubblicane, pur senza condanna verso l’attacco, si notano prese di distanza, come quella di John McCain che ha chiesto a Trump di rendere pubblico il piano complessivo dell’intervento in Siria.Che non ci sia un piano complessivo, lo si intuiva già durante la conferenza stampa notturna del Segretario​ della Difesa James Mattis, nel suo sottolineare che quello appena accaduto era un evento isolato.

Per l’analista della Cnn Jim Sciutto, dalle dichiarazioni a caldo, trapelerebbe che Mattis abbia vinto il dibattito tra lui e Trump, il nuovo consigliere per la sicurezza nazionale Bolton e l’ambasciatrice Usa all’Onu Halley, nel far prevalere la linea di un intervento limitato in Siria che, secondo il New York Times è stato contenuto in modo calcolato, per evitare di provocare rappresaglie di Russia e Iran.

Al di là delle scelte su come operare in Siria, le motivazioni della decisione in sé riguardo questo attacco sono sembrate sospette, o quanto meno si è notato come sia arrivato a proposito, questo raid, per agitare un po’ le acque che stavano intorpidendosi davvero troppo intorno al presidente Usa. Sono stati riproposti vecchi twit del privato cittadino Trump che nel 2013 criticava le decisioni di Obama di intervenire in Siria invece che occuparsi dei problemi americani, mentre nel 2012 The Donald aveva scritto: «Ora che i dati sul gradimento di Obama sono in tilt, aspettate che lanci un raid in Libia o in Iran, in quanto è disperato». Poche ore prima che cominciasse lo strike, anche le notizie per Trump erano tutt’altro che buone.

Tutti i media americani riportavano infatti la notizia per cui il procuratore speciale Mueller ha dimostrato che l’avvocato personale di Trump, Michael Cohen – descritto più che come avvocato come fixer, l’aggiustatore Mr Wolfe in Pulp Fiction – nel 2016 sarebbe stato a Praga per un incontro con dei russi vicini al presidente Putin, così come si legge nel dossier dell’ex agente dei servizi segreti britannico Christopher Steele. Lo stesso Cohen avrebbe a fine 2017 negoziato un accordo da 1,6 milioni di dollari con un ex modella di Playboy per conto di un importante fundraiser repubblicano che l’aveva messa incinta, così come l’accordo con la pornostar Stormy Daniels per comprarne il silenzio riguardo la sua relazione sessuale con Trump.