Prima della fine della settimana la Spagna potrebbe finalmente vedere il suo primo governo di coalizione della storia. Il più a sinistra di tutta Europa: nel caso spagnolo, Unidas Podemos entrerà nell’esecutivo e avrà i suoi ministri.

DOPO LA FIRMA all’ora di pranzo di un accordo con il capo del partito nazionalista basco, il Pnv, alleato chiave coi suoi sei deputati per dare luce verde al nuovo governo rosso-viola, ieri pomeriggio Pedro Sánchez ha messo in scena con Pablo Iglesias la presentazione in pompa magna del programma di governo.
Proprio come avevano promesso i due leader, l’idea era di farlo prima del dibattito di investitura. Che dovrebbe iniziare il giorno 2 gennaio per il varo del nuovo governo il giorno 5. Il primo voto avverrà il giorno 3, e, non ottenendo la maggioranza assoluta dei 350 voti, 48 ore dopo si svolgerà il secondo voto: a quel punto basteranno più sì che no, che ieri sembravano garantiti. Oltre ai 120 sì socialisti e 35 di Unidas Podemos, sono certi i sì di Más País (3), i sei nazionalisti baschi, e forse quello del deputato dei nazionalisti galiziani del Bng. In totale sono 165. I no sicuri sono quelli del Pp, Vox e Ciudadanos (153 voti), oltre a quelli degli indipendentisti catalani di JuntsxCat (8) e della Cup (2).

In totale, 163. Probabilmente almeno due dei 4 voti da tre piccoli partiti (Coalición canaria, Teruel Existe e regionalisti cantabri) dovrebbero finire nelle tasche di Sánchez.

LE CHIAVI DEL GOVERNO dunque ce le aveva Esquerra Republicana, coi suoi 13 deputati: i lunghi negoziati di queste settimane sono serviti al partito catalano per ottenere garanzie del governo a cambio della sua astensione, legata anche all’astensione dei baschi di Eh Bildu (5 deputati).

Gli ultimi scogli per strappare l’agognato sì all’astensione dei catalani è stato superato ieri mattina: l’avvocatura dello stato, come ampiamente previsto, ha confermato la posizione che aveva assunto anche a giugno: favorevole a che il capo di Esquerra, Oriol Junqueras, possa lasciare il carcere per prendere possesso del suo seggio nella Eurocamera. A giugno il Tribunale supremo, che si era affrettato a chiudere il processo proprio un paio di giorni prima della proclamazione ufficiale degli eletti (anche se la sentenza è arrivata solo a ottobre), aveva negato il permesso carcerario a Junqueras per farlo. Pochi giorni fa, la sentenza europea che ratificava che Junqueras gode di immunità parlamentare dal giorno della proclamazione degli eletti ha messo sotto accusa il Tribunale supremo spagnolo che ora, ricevuti i pareri di tutte le parti, deve decidere il da farsi.

LA LOGICA VORREBBE che liberasse Junqueras e poi chiedesse l’autorizzazione ad arrestarlo data la sentenza, ma non si sa mai coi giudici spagnoli. A Esquerra però per ora bastava il gesto dell’Avvocatura: oltre a questo, hanno ottenuto una serie di garanzie per portare il conflitto politico sull’indipendenza dalle aule di tribunali a un tavolo di trattative. I dettagli di come funzionerà questo foro fra Madrid e Barcellona non sono ancora stati resi pubblici, ma Esquerra conta di poter vantare il credito di aver modificato l’atteggiamento di Madrid coi suoi recalcitranti soci di JuntsxCat. Ieri i Comitati di difesa della repubblica, il battagliero gruppo di irriducibili indipendentisti, aveva convocato una protesta davanti alla sede repubblicana, ma ci sono andati solo una manciata di persone: buon segno per Esquerra.

BUONE NOTIZIE anche per gli stessi Cdr (e ulteriore vergogna per la magistratura spagnola): dei 9 arrestati a settembre con le gravissime accuse di terrorismo e di detenzione di esplosivi, sette sono già stati scarcerati (e probabilmente presto lo saranno anche gli altri due). Le gravi accuse si sono già sgonfiate: si giudichino come si giudichino le azioni politiche indipendentiste, di certo nulla hanno a che vedere col terrorismo.

Quanto al programma di governo, sulla carta è molto ambizioso: dalla deroga della riforma del lavoro di Rajoy (più incisiva di quanto era apparso all’inizio), allo statuto dei lavoratori, all’aumento del salario minimo fino a 1200 euro e all’istituzione del «salario minimo vitale», e la crescita delle tasse ai redditi più alti e alle grandi società, all’ampiamento dei servizi del servizio sanitario (con l’introduzione del dentista), al controllo del caro-affitti, fino all’estensione dell’educazione da zero a tre anni e un controllo più stretto sulle scuole private e all’ambizioso obiettivo del 100% di energia rinnovabile nel 2050.