Giornata del rinfaccio quella di ieri, e forse sarà così per i prossimi due mesi di lunghissima campagna elettorale – una campagna elettorale in cui gli spagnoli sono bloccati praticamente da quasi un anno.

In mattinata si è celebrata l’ultima sessione del Congresso dei deputati presieduta da Meritxell Batet, con il question time per il governo. Anche se ad interim, il governo – per decisione della Corte costituzionale, chiamata in causa proprio dai socialisti nel 2015 quando Rajoy si rifiutava di presentarsi visto che era “dimissionario” – deve rispondere alle petizioni dei deputati come in tutto il resto della legislatura. Ma ovviamente le domande di ieri a Pedro Sánchez e alla sua vice Carmen Calvo sono diventate occasione di uno scontro asperrimo fra le forze politiche, che si sono lanciate addosso gli stracci. A riceverli soprattutto i socialisti, che tutti hanno accusato di incompetenza e irresponsabilità, dai popolari, a Ciudadanos fino a Unidas Podemos, passando per i nazionalisti di Esquerra Republicana. Dell’istrionico portavoce di quest’ultima forza parlamentare, come spesso accade, la citazione del giorno: «I cittadini ne hanno fin sopra i bemolle di noi» e «Pedro Sánchez ha perso un’occasione storica».

Sánchez da parte sua non si è lasciato sfuggire l’occasione di distribuire lezioni a tutti: «Quello che è successo è che ci sono tre forze politiche che non hanno accettato i risultati elettorali», per poi accusare, in quest’ordine, il Pp per «mancanza di senso dello stato» (proprio lui, che era arrivato a dimettersi da deputato per non votare l’astensione a Mariano Rajoy e permettergli di diventare presidente come gli chiedeva il suo partito allora «per senso dello stato»), Ciudadanos di «irresponsabilità» e Pablo Iglesias (personalmente) di «dogmatismo».

CONCLUSA LA CERIMONIA, è tempo di scaldare i motori per la campagna elettorale. Che formalmente stavolta durerà solo 8 giorni (invece di 15 come al solito), a partire dall’1 novembre, in virtù di una legge approvata proprio dopo lo stallo del 2015 e la doppia chiamata alle urne a pochi mesi di distanza, proprio come oggi. Allora a Mariano Rajoy il giochetto della ripetizione elettorale funzionò: i popolari passarono da 123 a 137 seggi, mentre il Psoe scese per la seconda volta di seguito, raggiungendo il suo minimo storico di 85 seggi. La pressione sui socialisti divenne insostenibile, e 69 di loro si astennero (quelli che non lo fecero, vennero sanzionati) permettendo a Rajoy,  dopo quasi un anno di governo ad interim, di assumere il suo secondo mandato. Quello che due anni dopo, nel 2018, venne interrotto dalla mozione di sfiducia che portò inaspettatamente al potere Sánchez.

Proprio per evitare che questa dinamica torni a ripetersi, in molti (lo stesso Sánchez dopo le elezioni di aprile) propongono di riformare l’articolo 99 della Costituzione, che prevede il meccanismo di scioglimento automatico delle camere in assenza di accordo. Ovviamente al Pp e al Psoe farebbe comodo un meccanismo simile a quello in vigore nei comuni: in assenza di alternative, diventa sindaco automaticamente il capolista della lista più votata.

INTANTO CIUDADANOS ha già chiesto ai popolari di impegnarsi a formare immediatamente un governo con loro nel caso ci fossero i numeri, mentre dietro le quinte si negozia qualche tipo di accordo per ottimizzare il voto nei collegi più piccoli (dove vengono eletti meno deputati): se riuscissero a non disperdere i voti fra le tre liste di destra, probabilmente riuscirebbero a eleggere più deputati.

Anche fra le file di Podemos si ci sono movimenti dietro le quinte. L’elefante nella stanza è l’ex numero due di Iglesias Íñigo Errejón, che già a Madrid ha montato una sua lista in competizione diretta con Podemos. Si sussurra che possa farlo anche a livello nazionale, e questo rende nervosi i viola che, complice anche una probabile astensione più elevata, temono che questo giro elettorale potrebbe affondarli (che è anche la speranza non nascosta dei socialisti).

Intanto in Andalusia la coalizione Podemos-Iu che lì si chiama Adelante Andalusia, la cui leader Teresa Rodríguez è una esponente di una corrente di Podemos anticapitalista e contraria a Pablo Iglesias, sta valutando la possibilità di presentarsi con la propria sigla, e non quella di Unidas Podemos, aggiungendosi così alle molte altre formazioni regionali alleate di Podemos, ma non organiche al partito (come per esempio la catalana En comú Podem guidata da Ada Colau).