Un famoso editorialista, Iñaki Gabilondo, ha definito efficacemente quella del partito socialista come «politica quantistica». Quella del «parleremo a destra e a sinistra». Quella che, contro ogni evidenza, pretendeva mettere d’accordo i viola di Podemos e gli arancioni di Ciudadanos, ottenendo da entrambi il via libera a un governo a guida socialista. Con l’appoggio di alcuni nazionalisti “buoni”, il Partito nazionale basco, e respingendo quello dei nazionalisti “cattivi” dei due partiti oggi al governo della Catalogna. In mezzo alla pantomima inscenata per settimane da Podemos, che ha presentato le sue proposte in conferenze stampa e non in tavoli di negoziazione, e all’arroganza dei socialisti, restii a riconoscere che i partiti alla sua sinistra – Podemos, i suoi alleati e Izquierda Unida – hanno ricevuto più voti del Psoe, e al gran rifiuto di Mariano Rajoy, i leader più intelligenti si sono dimostrati Albert Rivera (Ciudadanos) e Alberto Garzón (Izquierda Unida). Il primo, perché mentre Pedro Sánchez e Pablo Iglesias occupavano le scene, lavorava dietro le quinte più alacremente degli altri per portare a casa un patto con il Psoe che gli restituisse la centralità politica che le urne gli hanno negato, e allo stesso tempo costruendo ponti fra Rajoy e Sánchez, che pubblicamente invece dichiarano odio reciproco. Il secondo perché davanti al blocco di principio di Podemos al negoziato con il Psoe a causa delle trattative parallele con Ciudadanos, proprio per disinnescare il pericolo di un governo orientato a destra, riusciva a inchiodare a un tavolo di negoziati i 4 partiti di sinistra: Psoe, Podemos, i valenziani di Compromís e la stessa Iu. E lunedì sera sembrava infatti delinearsi un panorama logico nel caos politico attuale. Un difficile accordo di sinistra, con l’astensione di Ciudadanos. Questo avrebbe garantito l’investitura di Sánchez la settimana prossima. Ma martedì, a sorpresa, è saltato tutto per aria. Il Psoe e Ciudadanos stavano in realtà negoziando un accordo “di governo”. Sessantasei pagine di 200 iniziative legislative molto concrete e certamente molto lontane dai temi a cuore della sinistra; in particolare la questione della durissima riforma del lavoro dei popolari (che in alcuni aspetti, come l’indennizzo per licenziamento, verrebbe addirittura peggiorata), la legge bavaglio che impedisce le manifestazioni, la legge educativa e la riforma dell’articolo costituzionale che antepone il pagamento del debito ai diritti sociali. È vero, alcune delle iniziative sono solo abbozzate, in un dichiarato intento di attrarre maggiori consensi. Ma è difficile comprendere il senso di questa mossa socialista nel bel mezzo di trattative a sinistra. Che infatti sono saltate subito dopo l’annuncio.

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Cosa sperava di ottenere Sánchez? Forse la risposta la dà proprio Rivera, che fin da martedì dice di voler convincere i popolari all’astensione. E ieri ha confermato che vedrà Rajoy prima del voto di investitura. Questo in effetti garantirebbe il varo del governo, in cui magari Rivera potrebbe occupare il posto di vicepresidente che i socialisti non volevano per Iglesias. E un accordo indiretto di questo tipo con i popolari porterebbe vantaggi per tutti. Sánchez sarebbe presidente, Ciudadanos entrerebbe nel governo. I popolari salverebbero la faccia in un momento in cui sono sommersi da gravissimi casi di corruzione. E forse persino a Podemos converrebbe, per potersi definitivamente consacrare come alternativo ai socialisti, anche se ufficialmente ora dice di sperare che Sánchez cambi idea dopo la fallita investitura. I catalani, il cui referendum di autodeterminazione è esplicitamente escluso dal patto, potranno continuare a dire che a Madrid non li ascolta nessuno. Persino l’applaudita decisione di Sánchez di voler sottoporre gli accordi alla base questo fine settimana rischia di trasformarsi in farsa, con una generica domanda di approvazione di un accordo «per un governo progressista e riformista». I 200mila militanti sono a favore di un accordo con Ciudadanos o con Podemos? L’interpretazione è libera.