Ci sono anche loro, i 335 addetti dei quattro stabilimenti Sanac, tra le vittime della situazione kafkiana in cui si trovano i due principali poli siderurgici italiani. Protestano dal giugno scorso, in particolare a Massa, per lo stop delle commesse di Acciaierie d’Italia che ha deciso di approvvigionarsi all’estero. Una sorta di delocalizzazione che sta portando progressivamente in cassa integrazione gli operai di un’azienda che pure è leader italiana nella lavorazione e commercializzazione di un’ampia gamma di prodotti refrattari, ceramici e di altra natura, da impiegare nei processi produttivi della siderurgia.
La goccia che ha fatto traboccare un vaso già colmo, e che porterà fra una settimana a uno sciopero generale in tutti i siti industriali del gruppo (oltre a Massa c’è Gattinara nel vercellese, Grogastu nel cagliaritano e Vado Ligure), è stata la reiterata assenza dei vertici dell’ex Ilva di Taranto, le odierne Acciaierie d’Italia, alle audizioni della commissione attività produttive della Camera, che sul caso Sanac ha acceso i riflettori.
“Si tratta di un atteggiamento inaccettabile – annota la massese Martina Nardi che presiede la commissione – sopratutto perché non si tratta di una azienda privata, ma di una società dentro cui sta anche Invitalia. Cioè ci sta anche lo Stato, che loro in pratica si rifiutano di incontrare”. Un cortocircuito in piena regola quella denunciato dalla parlamentare dem, visto il 40% delle Acciaierie tarantine in mano pubblica, ma con il management ancora saldamente targato Arcelor Mittal.
Ma c’è ancora di più, perché quando Arcelor Mittal acquisì l’ex Ilva nel 2017, si impegnò a fare lo stesso con Sanac, mettendo come garanzia una fideiussione da un milione di euro. “La società doveva essere aggiudicata ad Arcelor Mittal che aveva presentato il 5 dicembre 2018 un’offerta vincolante – ha riepilogato la viceministra Alessandra Todde, ascoltata anch’essa dalla commissione – un’offerta che, all’esito del procedimento di gara, ha determinato l’aggiudicazione dei complessi aziendali di Sanac”.
Invece il colosso franco-indiano dell’acciaio ha fatto finta di nulla, facendo scadere la fideiussione e poi rivolgendosi all’estero per gli approvvigionamenti. Mentre Sanac, che ha dovuto fare decreti ingiuntivi per incassare 21 milioni di vecchie forniture, ed è ancora creditrice per altri 4,5 milioni, oggi ha comunque un gran bisogno di liquidità ma non riceve ordini. “Allora è stato dato mandato ai legali che assistono la società – ha spiegato ancora Todde – di avviare delle iniziative nei confronti di Acciaierie D’Italia, per far perseguire gli illeciti contrattuali ed extracontrattuali che si sono verificati”.
A Massa, dove sono impiegati 110 addetti di Sanac e dove la fabbrica fa parte a pieno titolo della storia industriale della città apuana, perfino il sindaco leghista Persiani all’inizio di settembre è sceso in piazza con i lavoratori, per poi chiamare in soccorso il titolare del Mise e collega di partito, Giancarlo Giorgetti. Ma almeno ad oggi la situazione resta bloccata, anche se la viceministra Todde ha confermato l’impegno del governo dei migliori al monitoraggio della vertenza, per mantenere la continuità produttiva e garantire la tutela dei lavoratori coinvolti. “A queste famiglie – chiude Martina Nardi – vanno date risposte concrete”. Come vanno date agli operai di Taranto e di Piombino, anch’essi vittime di una lunga serie di errori gravissimi di strategia industriale, dove si sciopererà mercoledì prossimo di fronte all’inazione governativa, e alle promesse non mantenute in tema di siderurgia.