Licenziati, spintonati dalla polizia, poi sul tetto del loro ospedale. Ieri è stata una lunga e intensa giornata per i lavoratori del San Raffaele. Il braccio di ferro con il nuovo padrone che dura ormai da molti mesi è arrivato a un punto di non ritorno.

L’amministrazione di Giuseppe Rotelli, che dopo il crack ha rilevato l’ospedale di don Verzè, ha cominciato a inviare le lettere di licenziamento. Per ora ne sono arrivate una trentina ma i posti che secondo la proprietà devono essere tagliati per raggiungere il pareggio di bilancio sono 244, entro maggio.

I lavoratori non hanno nessuna intenzione di chinare la testa. Da lunedì sono in assemblea. Per il secondo giorno di fila ieri mattina si sono diretti verso la sala dell’accettazione centrale dove ci sono gli sportelli per il pagamento dei ticket. Volevano solo informare i colleghi dei loro diritti. Ma questa volta a sbarrargli l’ingresso hanno trovato la polizia che li ha spinti violentemente. Tre manifestanti sono rimasti contusi e uno è finito al pronto soccorso.

A quel punto in 13 sono saliti sul tetto e sono scesi solo a sera dopo che finalmente le istituzioni, a partire dalla regione Lombardia, li hanno presi in considerazione. Hanno per lo meno ottenuto che si riapra un tavolo prefettizio per riprendere le trattative.

Ma qual è l’oggetto del contendere? Si tratta di una questione che riguarda tutto il settore della sanità privata – lavoratori, ma anche pazienti. Il San Raffaele infatti è un simbolo. Da sempre struttura di eccellenza proprio grazie a chi ci lavora, dopo il crack e gli scandali che hanno coinvolto Pierluigi Daccò e Roberto Formigoni, adesso è di proprietà del più grande gruppo della sanità privata in Italia, il terzo in Europa. Rotelli e i suoi amministratori sostengono di dover risparmiare sul personale per far quadrare i conti, ma di fatto il bilancio non è stato reso noto, né ai sindacati, né alla Regione che pure è di gran lunga la prima finanziatrice della struttura.

Per questo, mesi fa, ha messo i lavoratori di fronte a un vero e proprio ricatto sul modello Marchionne: o veniva accettato un accordo che stabiliva una decurtazione dello stipendio del 10% e una forte riduzione dei diritti, oppure si sarebbe proceduto ai 244 licenziamenti. Una politica cieca molto comune nel mondo impreditorale con una differenza: al San Raffaele non si fanno macchine ma si curano le persone.

In un referendum i lavoratori, dimostrando molto coraggio, hanno bocciato l’accordo – 1.365 contro 1.110 sì – e hanno messo in campo una serie di iniziative per opporsi ai licenziamenti. Sono da molti mesi in presidio permanente, hanno manifestato, bloccato l’autostrada, chiesto incontri. Per tutta risposta adesso quelle lettere di licenziamento sono partite. Non si sa nemmeno a chi altro potrebbero arrivare. Si sa solo che non colpiranno professori e medici, ma solo i lavoratori del «comparto».

Infermieri, tecnici, amministrativi subiscono una fortissima pressione nel tentativo di rompere il fronte e soprattutto di piegare i sindacati di base (Usb e Usi) che qui sono i più forti. Tutti i sindacati chiedono l’istituzione di un tavolo per riaprire la trattativa. La Cgil però accetterebbe anche i contratti di solidarietà e la cassa integrazione. «Noi non siamo d’accordo – spiega Margherita Napoletano dell’Usb – visto che qui si fanno tanti straordinari».

Ieri, finalmente, al san Raffaele è arrivato anche Umberto Ambrosoli che invece quando era ancora candidato alla presidenza della Lombardia non aveva colto l’importanza simbolica, politica ed economica di questa lotta. Per ora si è limitato a dichiarazioni d’intenti, ma per lo meno si è fatto vivo. Più incisiva l’azione del Movimento 5 Stelle che da più tempo segue la vicenda. L’ex candidata Silvana Carcano, non solo ha incontrato i lavoratori, ma ha anche presentato al Pirellone una mozione per chiedere la riapertura della trattativa e la revoca dei licenziamenti, almeno fino alla pubblicazione del bilancio.

«Sono stata tra le prime a ricevere la lettere di licenziamento – dice Alessia, 37 anni, che ieri era su quel tetto – E’ stato un colpo, ma resto coerente: rivoterei mille volte no al referendum». Giovanni ha 47 anni: «Ho ricevuto la lettera. Non so cosa farò, ma se manderanno a casa 244 persone, manderanno alla malora questo ospedale».