San Pietroburgo si è risvegliata stranita dopo l’attentato di lunedì. La vita è ripresa a correre come ogni giorno feriale e le linee della metropolitana funzionano tutte regolarmente, ma nei bus e agli angoli delle strade non si parla d’altro.

Gli inquirenti avrebbero già individuato, grazie alle telecamere, l’autore dell’attentato nella metropolitana che ha causato 14 morti e circa 50 feriti. Secondo Svetlana Petrenko, che coordina le indagini, si tratterebbe di Akbarzon Dzalinov, 22 anni, nato nella Repubblica del Kirghizistan ma che da qualche anno ha preso il passaporto russo.

Più che di una cellula, si tratterebbe di un attentatore isolato ma collegato all’Isis. Il kamikaze si trovava vicino al pacco-bomba al momento dell’esplosione, per cui è stato difficile anche identificarne i resti, ma le tracce del dna trovate sulla bomba inesplosa avvalorerebbero le conclusioni degli inquirenti.

Secondo gli organi di polizia si trovano fuori dal Kirghizistan almeno 2mila locali collegati più o meno strettamente allo Stato Islamico, mentre l’analisi delle comunicazioni avute negli ultimi tempi dall’attentatore fanno propendere per l’idea che l’azione sia stata progettata in Siria da dei suoi connazionali.

L’aspetto positivo, almeno per ora, è che né a San Pietroburgo né in altre città della Russia si è assistito a manifestazioni di intolleranza o azioni xenofobe da parte di gruppi ultranazionalisti.

Putin, che ieri sera si è recato sul luogo dell’attentato per deporre un mazzo di fiori, non ha rilasciato alcuna dichiarazione. Un portavoce del Cremlino, durante una conferenza stampa, ha confermato la telefonata intercorsa tra il presidente americano Donald Trump e Vladimir Putin. Secondo il Cremlino, «il presidente ha confermato il pieno sostegno del governo Usa» alla Russia.

La Casa bianca ha sottolineato che i leader dei rispettivi Stati «condividono l’opinione che il terrorismo vada sconfitto completamente e il più rapidamente possibile».

Parole di circostanza forse, ma che secondo fonti vicine al Cremlino, sono state molto apprezzate da Putin dopo un certo raffreddamento degli entusiasmi tra i due paesi nelle ultime settimane.

Intanto l’attentato di San Pietroburgo sta divenendo già motivo di riflessione politica. Kommersant, il giornale della Confindustria russa, sottolinea come la Russia rischi di pagare un prezzo altissimo per il suo intervento in Siria e si chiede se anche la Russia non abbia bisogno di un po’ di “isolazionismo”.

L’autorevole politologo Michail Vinogradov, sempre su Kommersant, si dice convinto che la bomba di San Pietroburgo sia stata una drammatica apertura delle campagna elettorale per le presidenziali del marzo 2018.

Secondo Vinograd esiste il rischio di un clima di “unità nazionale” attorno a Putin che rimandi ancora una volta la discussione sui molti problemi che affliggono il paese: «Putin arrivò al potere nel 1999 promettendo la vittoria contro il terrorismo islamico. Si dovrebbe riflettere di più sulle promesse mancate».

Preoccupazione condivisa anche dalla Nazavisimaja Gazeta che teme, in vista delle elezioni presidenziali del marzo 2018, una recrudescenza di attentati.

Il presidente di Sprovledlivaya Rossya (Russia Giusta) Sergej Mironov , formazione aderente all’Internazionale Socialista ma che spesso si distingue per posizioni ultranazionaliste, ha dichiarato «che è necessario, in caso di terrorismo, comminare la pena di morte» (attualmente in Russia c’è la moratoria della pena capitale) e «fornire alla polizia tutti gli strumenti necessari a stroncare il fenomeno».

Molto più cauto, invece, il deputato Ernest Valeev del partito di Putin Edinnaya Rossya che ha dichiarato che «la legislazione esistente può rispondere a tutte le esigenze repressive e quindi non è necessario dare ulteriori poteri agli organi preposti», una dichiarazione che ha per il momento tranquillizzato l’opposizione liberale che temeva una ulteriore stretta autoritaria.