Degli «infiniti disegni» che, secondo Vasari, Bramante realizzò per la nuova basilica di San Pietro si conservano soltanto quattro fogli, appartenenti all’ampia raccolta grafica degli Uffizi attinente alla fabbrica vaticana. Il disegno numero 20 è indubbiamente quello più ricco di significato, «venerabile reliquia», come lo definì Heinrich von Geymüller, che tra i primi, nell’Ottocento, affrontò lo studio della raccolta.
Un significato che trascende le vicende costruttive di San Pietro e investe l’intera architettura occidentale.

Il disegno è ora al centro della mostra dedicata a Donato Bramante e l’arte della progettazione in occasione del quinto centenario della morte dell’architetto, realizzata a Vicenza dal Palladio Museum (visitabile fino all’8 febbraio 2015), in collaborazione con la Bibliotheca Hertziana, il Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi e la Fondazione Piero Portaluppi di Milano.
L’esposizione nasce dalle ricerche di Christof Thoenes, studioso di architettura rinascimentale di fama mondiale, che ha dedicato alle vicende di San Pietro scritti profondi e illuminanti, caratterizzati da estrema chiarezza e capacità di sintesi. Scritti che si confrontano con gli studi condotti dagli altri massimi esperti della materia, i quali, soprattutto nella seconda metà del secolo scorso, si sono misurati con l’analisi e l’interpretazione del corpus dei disegni petriani, da Franz Wolff Metternich a Christoph Frommel e Arnaldo Bruschi. La produzione scientifica di questi – e di molti altri importanti studiosi che fino a oggi hanno affrontato l’argomento – ha notevolmente arricchito le conoscenze ma, d’altra parte, ha reso la materia sempre più specialistica, una «specie di dottrina esoterica», come lo stesso Thoenes la definì anni fa.

L’azzeramento impossibile

Intento della mostra è quello di presentare e «spiegare» a un pubblico formato anche da non specialisti un tema tanto complesso, senza rinunciare al rigore e al criterio scientifico. E il disegno Uffizi 20 A si presta perfettamente allo scopo, illustrando non soltanto i punti salienti delle idee bramantesche per la nuova basilica voluta da Giulio II, ma anche la stessa concezione di Donato dell’architettura e, più in generale, i caratteri peculiari dell’arte della progettazione. Un’arte non facile da comprendere e spesso fraintesa. In realtà, come dichiara Thoenes nell’introduzione alla rassegna, l’atto del costruire non si impianta mai su una tabula rasa. Piuttosto «l’arte della progettazione sta nella soluzione di problemi specifici, nati da limiti imposti da precondizioni. L’idea si traduce dalla mente in carta, e tramite la materia in oggetto, per tentativi più che per singolari atti lirici, per inclusioni più che per demolizioni, per revisioni più che per verità assolute».

Il fascino di Uffizi 20 A sta proprio nell’espressione di questo modo di procedere. Tracciato a sanguigna su semplice carta, il disegno rappresenta in pianta, con piccoli inserti prospettici, una serie stratificata di idee progettuali che si susseguono nel tempo, idee fondamentali che reinventano l’immagine della basilica petriana, impresse sullo stesso foglio man mano che vengono elaborate dalla mente dell’architetto. Si tratta quindi di un disegno di lavoro, che non presenta un prodotto finito e non è concepito per essere mostrato al committente. Un palinsesto reso ulteriormente complesso dalla presenza, al di sotto delle linee di progetto, di un tracciato regolatore di rette ortogonali e della pianta di strutture precedenti che costituiscono il sedime della nuova fabbrica: l’antica basilica costantiniana, eretta da più di un millennio, e le murature interrotte del piano di rinnovamento voluto da Niccolò V cinquant’anni prima. Da notare che il progetto bramantesco non si estende all’intero edificio, ma si limita alla zona centrata sulla grande cupola, lasciando indefinito l’assetto del corpo longitudinale. Sembra dunque che l’architetto non avesse ancora in mente una sistemazione d’insieme. Nonostante il carattere di incompiutezza e, anzi, proprio grazie al contatto immediato con il processo creativo in corso, il foglio in questione è in grado di rivelare sinteticamente la genesi e la qualità di proposte progettuali innovative e ricche di conseguenze.
La complessa struttura di Uffizi 20 A è svelata in mostra da un apparato multimediale di proiezioni-video e disegni, realizzati con la collaborazione di Alina Aggujaro, attraverso i quali sono individuate e isolate le diverse fasi progettuali depositate nel disegno, mentre suggestive strutture tridimensionali crescono e si sviluppano dalla pianta.

A partire da un’analisi quasi archeologica dei diversi strati sovrapposti è allora possibile raccontare una storia, penetrare nel processo creativo, coglierne le diverse tappe, ricostruirne le scelte fondamentali ma anche le incertezze e i ripensamenti. Attraverso quelle che Thoenes ha felicemente definito «istantanee del processo di progettazione» possiamo così osservare Bramante al lavoro mentre concepisce e precisa, spesso per successive approssimazioni, le sue proposte. Prima fra tutte, l’idea di erigere un’enorme cupola, di diametro pari a quello del Pantheon e notevolmente più ampia della navata centrale della basilica. Un’invenzione che supera lo schema tradizionale di cupola inscritta in un quadrato, all’incrocio tra navata e transetto, ed è resa possibile dall’articolata conformazione dei robusti pilastri di sostegno, tagliati in diagonale ad abbracciare lo spazio. Pilastri così strutturati creano, alla base della cupola, un grande vano ottagono o, se si vuole, quadrato ad angoli smussati, rendendo fluido il passaggio tra gli spazi della basilica.

Orchestrazione spaziale

La progettazione dei pilastri, strettamente legata al sistema statico di sostegno dell’enorme cupola, è oggetto di grande lavorio da parte dell’architetto. A partire da una prima più semplice soluzione, Bramante ne ingrandisce le dimensioni e ne scava la massa muraria con grandi nicchie. Non ancora convinto, ne disegna una nuova versione con due grandi colonne addossate. Idea questa destinata, come molte altre, a rimanere sulla carta, ma ripresa da Raffaello negli spazi dipinti della Cacciata di Eliodoro.
Con la variazione della forma e delle dimensioni dei pilastri, muta anche l’assetto di spazi e strutture che circondano il nucleo centrale dell’edificio: le quattro cupole minori, disposte lungo le diagonali, le navate e i deambulatori, questi ultimi inseriti solo in un secondo tempo e rielaborati più volte. Ne risulta un’orchestrazione di vani e strutture che rivela un’idea spaziale del tutto inedita, un nuovo modo di concepire le relazioni tra vuoti e pieni. A partire dai pilastri, la cui configurazione non risponde a una geometria regolare, tutte le strutture che delimitano i vani appaiono modellate e scavate dal dinamico espandersi dallo spazio che le circonda.
Per la prima volta dopo l’architettura romana antica, un architetto concentra il suo interesse sui vuoti e non sui pieni, disegnando lo spazio in sé piuttosto che i suoi limiti murari. Un nuovo principio costruttivo che la pianta rappresenta e comunica in tutta la complessità della sua gestazione e sul quale l’apparato illustrativo della mostra si sofferma ampiamente, facendo riferimento alle pagine illuminanti scritte sull’argomento da James Ackerman e Arnaldo Bruschi.

L’ossessione di un pontefice

Si inserisce prepotentemente, a questo punto della storia, la volontà del committente. Bramante deve infatti fare i conti con le richieste di Giulio II, il quale, con l’andar del tempo, diviene sempre più interessato alla realizzazione in San Pietro della propria cappella sepolcrale piuttosto che al rinnovamento dell’intera basilica. Cappella che sarebbe dovuta sorgere, velocemente e a costi minimi, sfruttando le fondazioni del coro iniziato da Niccolò V. Prima dell’inizio dei lavori, nel 1506, Bramante deve dunque nuovamente modificare il proprio progetto per rispondere a questa priorità, ma di quest’ultima fase non ci sono purtroppo pervenuti disegni.

Tuttavia, un rilievo di quanto realizzato intorno al 1515, ormai dopo la morte del committente e del suo architetto, mostra le strutture inizialmente edificate: da una parte, i pilastri e i contropilastri della cupola definiti nei progetti procedenti, dall’altra la cappella di Giulio II, prevista nell’ultima fase. Ne risulta una sorta di compromesso tra l’idea di Bramante e i desideri del papa. La cappella verrà in seguito demolita, nel corso di una storia costruttiva protrattasi per più di un secolo. I pilastri, invece, sarebbero sopravvissuti, a condizionare i successivi interventi e lo sviluppo dell’intero edificio. Attraverso la forza del loro disegno, l’architetto riesce a imporre l’assoluta preminenza del grande vano cupolato e a stabilire in maniera definitiva i caratteri spaziali che tuttora qualificano la basilica petriana.

L’arte della progettazione di Bramante è rappresentata in mostra anche da altri disegni, ricostruzioni e modelli, dedicati all’analisi dei procedimenti compositivi di alcune delle sue opere principali: il tempietto di San Pietro in Montorio, il chiostro di Santa Maria della Pace, la rampa del Belvedere, l’irrealizzata chiesa di san Biagio nel palazzo dei Tribunali. A questi si aggiungono trattati di architettura in preziose versioni originali e disegni di Andrea Palladio riguardanti opere bramantesche.

Problemi di salute, ora fortunatamente risolti, hanno impedito a di Christof Thoenes di controllare e sviluppare come avrebbe voluto il progetto della mostra, così come di portare a termine la cura del catalogo, che uscirà solo più avanti. Nonostante tali difficoltà, l’esposizione raggiunge il suo scopo e lascia emergere chiaramente l’idea portante dell’operazione, quella di presentare un percorso metodologico che riflette l’attuale specifico campo di interesse della storia dell’architettura.
Un interesse che non si limita a considerare l’opera come risultato conclusivo finito, ma ne ricostruisce e ne interpreta il processo formativo.