«Quando il bambino era bambino / non sapeva di essere un bambino / per lui tutto aveva un’anima / e tutte le anime erano un tutt’uno» (Peter Handke). Quando il bambino era bambino credeva in quella parte di un tutto che erano i mitici portatori di doni. Figure costruite in un immaginario secolare, gli comunicavano e mostravano quale dovesse essere il suo posto nel mondo: lui era in un rapporto di filiazione e loro gli antenati.

IL DONO NON ERA mai semplice merce, ma il distillato di un’intera cultura, e lo si capiva fin da quando i primi cristiani proibivano il dono, per impedire che i fedeli fossero irretiti dal meccanismo della reciprocità clientelare: accettare strenae da un patronus significava diventare clientes. «Vi ho detto, non date strenne, ma date ai poveri», ammoniva Cesario di Arles agli inizi del VI secolo.
La circolazione delle cose non si può arrestare perché non è solo commercio ma un istituto culturale resiliente nelle pieghe della quotidianità, tra Stato e mercato. L’idea del dono, per gli antropologi, è un continuum tra due logiche: quella razionale del mercato e quella solidale del dare. Le religioni in genere abbracciano la seconda, mettendola al riparo da ogni influenza profana sotto l’egida di un loro rappresentante.
Così appartengono a questa logica eroi e eroine cristiane come Lucia, Andrea, Martino, Caterina, Basilio, la Befana (quasi cristiana) e soprattutto Nicola, in tutte le sue declinazioni e trasformazioni. Difficile riassumere qui la lunga storia di questo incredibile santo, ma forse fu proprio la mancanza di informazioni certe sulla sua Vita che fece nascere quell’esorbitante leggendario che gli appartiene.

SAN NICOLA non è san Francesco e, come scrivevano i seguaci di padre Jean Bolland (1596 -1665) negli Acta Sanctorum, «non sappiamo nulla delle azioni di quel rinomato operatore di miracoli». Fu forse questa la ragione del suo successo, religioso e commerciale, non necessariamente in quest’ordine.
Santo popolare, in tutti i sensi, per secoli è appartenuto all’universo del dono e della reciprocità, anche quando il nascente capitalismo americano lo trasformò in santa Claus. Nonostante la Coca-cola e la ruggente economia americana, le logiche dello scambio e del dono resistevano tra le pieghe della quotidianità e, soprattutto, Santa aveva un corpo, reale, mascherato, magari immaginato alla guida di una slitta che entrava nelle case dal camino, ma le relazioni create da questo demiurgo donatore resistevano. Poi, improvvisamente, è accaduto qualcosa: santa Claus è scomparso, nei negozi, per le strade, nei magazzini. È scomparso il suo corpo, oramai entrato nella rete dell’e-commerce: stessa velocità, descritta in Sorry we missed you (2019) di Ken Loach, stesso anonimato, stessa obbedienza dei verdi elfi sotto forma di green badge.
Così nasce l’Homo consumens di cui parla Bauman (2006), che ha abolito il passato e nega il futuro, in un eterno godimento del «prendi, godi e butta via». Non c’è niente di peggio, nel commercio attuale, di un consumatore soddisfatto: finisce di esserlo e questo, si sa, non licet.

IN GARA con il web, santa Claus non ha retto. Per quanto sia supersonica la sua slitta, la rete ha un enorme vantaggio: non ha bisogno di corpi per muoversi, né di costose ricerche di mercato. Ha già tutto quanto possa servire attraverso la profilazione. Sa di cosa il consumatore ha bisogno che, con un semplice click, se lo vede arrivare in una scatola (rigorosamente anonima) fino al cancelletto del suo stabile, «in ottemperanza alle regole del Covid-19».
È il capolavoro del capitalismo: cacciati tanti anni fa dal giardino dell’Eden, abbiamo sgomitato per rientrare in un walled garden senza più alberi, vita o conoscenza, e con l’illusione di avere più tempo, che spenderemo ovviamente per acquistare oggetti.
«Quando il bambino era bambino / non sapeva di essere un bambino / per lui tutto aveva un’anima / e tutte le anime erano un tutt’uno». Ma il tutto, ora, si è nascosto insieme a Babbo Natale in un mondo privo della Sinossi del senso di cui parlava Kant. Il mondo è un organismo interconnesso e alla lunga, come scrive Maurizio Ferraris (Il mondo esterno, 2001) la goccia che cade dal lavandino ha qualcosa a che fare con l’orbita di Plutone.
Già profetico, tempo fa, un ragazzino chiese a André Maurois, il biografo di Charles Dickens: «È morto Mr. Dickens? E morirà anche Babbo Natale?».