Nei giorni scorsi è tornato alla ribalta mediatica il quartiere San Basilio, borgata della periferia est di Roma. Infatti il caso della famiglia marocchina, a cui è stato impedito di prendere possesso di una casa popolare regolarmente assegnata dal Comune, ha attirato le attenzioni di televisioni e giornali sulla complessa e difficile realtà di questo territorio. Parafrasando i titoli di giornali e trasmissioni televisive, la fotografia scattata dai media mainstream è quella di una rivolta razzista degli abitanti, perché contrari all’ «arrivo di negri» nelle case popolari.

Una fotografia che non rende assolutamente l’idea della complessità del contesto in cui è avvenuto quest’ennesimo triste episodio di guerra tra poveri. Episodio che certamente non può spiegarsi senza prendere in considerazione il clima di xenofobia e odio per i più deboli che si vive a Roma. Ma che nemmeno può essere raccontato senza essere contestualizzato al dramma della casa che vivono numerose famiglie nelle periferie della Capitale, a causa delle politiche antisociali inaspritesi con la crisi economica e con la privatizzazione dello spazio urbano, frutto della trasformazione neoliberista.

Ggli abitanti di San Basilio vivono storicamente in un territorio abbandonato dalle istituzioni. In questi ultimi anni, inoltre, le politiche di privatizzazione hanno ulteriormente aggravato il problema abitativo per diverse famiglie del quartiere. D’altronde, la lotta per la casa è stata da sempre una priorità per gli abitanti di questo quartiere, che nasce e si sviluppa anche attraverso occupazioni di massa del proletariato e sottoproletariato romano.

In questa complesa cornice, diverse realtà del territorio hanno dato vita al progetto «San Basilio, storie de Roma», per cercare di ricostruire, attraverso la ricerca storiografica, la memoria di una borgata simbolo della città di Roma. Un progetto che affianca a questo peculiare e partecipativo esercizio di ricerca storiografica, diverse attività sociali e culturali. Da due anni, un gigantesco murales di Blu colora la facciata di un edificio su cui è rappresentata la storica battaglia del 1974, che vide fronteggiarsi la polizia con una massa di persone che volevano difendere le occupazioni abitative, e in cui venne assassinato il giovane militante dell’Autonomia operaia, Fabrizio Ceruso.

Quest’estate, per una maggiore vivibilità del quartiere e per la creazione di rapporti tra cittadini e giovani, è nato il Centro Popolare San Basilio dedicato proprio alla memoria di Fabrizio Ceruso. Inoltre, dal progetto «San Basilio, storie de Roma» è uscito fuori anche un prezioso e interessantissimo documentario che porta lo stesso nome e che sarà messo in onda da Rai Tre questa notte. «Il documentario – spiega Alessandro, giovane attivista del Casale Alba2 e tra gli autori del documentario (che è un’opera collettiva delle diverse realtà territoriali che partecipano all’iniziativa) – vuole fare della ricerca storiografica, al di fuori dell’ambito accademico, uno strumento per produrre una narrazione della memoria collettiva capace di dialogare ed incidere sul presente».

«L’idea nasce dalle iniziative in memoria di Fabrizio Ceruso e quindi dall’esigenza di raccontare, ma soprattutto di far raccontare a chi l’ha vissuta, la densa storia di San Basilio e i suoi molteplici momenti di scontro sul diritto all’abitare e non solo. La battaglia del 1974 e la morte di Fabrizio – prosegue Alessandro – sono solo dei tasselli, senza dubbio importanti, di un puzzle più complesso, fatto di una comunità che, sin dalla sua nascita, ha dovuto lottare per soddisfare i propri bisogni: dall’accesso all’acqua corrente all’autobus per andare in centro, il famoso “109 per la rivoluzione” cantato da Rino Gaetano. Una storia spesso rimossa dalla memoria collettiva, nonostante faccia parte della pelle e dell’identità di San Basilio come di altri quartieri popolari, attraverso i mass media e i tanti meccanismi di svuotamento delle coscienze. Perciò, in tale contesto, la storia dal basso assume un valore fondamentale, sia per restituirla al sapere collettivo, sia per legarla al presente e, tramite essa, interpretare la realtà che ci circonda».

Un tentativo di mettere l’analisi della storia del quartiere al servizio della trasformazione del suo presente? «La finalità – risponde Alessandro – non è idolatrare una realtà che, di certo, presentava mille contraddizioni. É piuttosto uno spunto per interrogarsi sulle condizioni di degrado e sfruttamento e sulle soluzioni prospettate. San Basilio vive tante piaghe sociali come la disoccupazione, la dispersione scolastica e, ancora oggi, l’emergenza abitativa. Oltre ad essere bersaglio di politiche speculative di vario genere.

Conoscere la storia aiuta a comprendere le reali responsabilità di questi problemi ed evitare, come avvenuto nei fatti di cronaca degli ultimi giorni, di cadere nella trappola della guerra tra sfruttati. La storia si ripete: nell’assurda competizione per la casa, scatenata dall’assenza di politiche abitative, nel 1974 i rivali erano gli sbaraccati del centro, oggi sono i migranti. Gli abitanti di San Basilio, oggi come allora, vengono additati come mostri da prima pagina. La realtà, invece, è fatta di gravi problemi sociali che nessuno ha intenzione di risolvere: qui governi e amministrazioni si fanno vedere solo per reprimere o speculare. La rabbia è normale e giusta, il nodo è come indirizzarla verso l’alto e non verso chi sta accanto, esattamente come si fece nel 1974».

Infatti, spiega Federico, un giovane del quartiere che partecipa al progetto come attivista dell’Asia(Usb) e tra gli autori del documentario, «l’episodio di questa settimana non è che la conseguenza di una grave assenza di servizi e diritti fondamentali, che si vuole far sfociare in guerra tra poveri».

«I grandi mezzi d’informazione hanno dimostrato tutta la loro scorrettezza e poca etica nel trattare questa situazione – è l’opinione di Federico – Negli ultimi anni, abbiamo fatto tantissimi picchetti antisfratto nel quartiere. Qualche mese fa, in centinaia siamo scesi per opporci allo sfratto di una ragazza e successivamente abbiamo realizzato un’assegnazione di tre stabili vuoti in maniera collettiva e autorganizzata. Perché qui non solo c’è degrado e crisi sociale, ma anche una comunità solidale che non abbassa la testa di fronte ai soprusi e alle ingiustizie. Tuttavia, di fronte a tutte queste grandi di manifestazioni di partecipazione e solidarietà nel territorio, non abbiamo mai riscontrato l’interesse delle televisioni. Al contrario, un’azione spontanea, frutto dell’esasperazione di dieci persone, ci ha messi in mezzo a un vortice mediatico che ha raccontato a tutta l’Italia di un’immaginaria rivolta razzista di un intero quartiere».

Insomma, dietro all’episodio di questa settimana c’è una situazione grave e complicata di una nuova povertà che avanza e dell’eterno ritorno del problema della casa… «Sì – conclude Federico – a San Basilio come in tanti altri quartieri la situazione è molto difficile, e in questo conflitto purtroppo le amministrazioni continuano a prendere le parti dei grandi potentati economici. Un esempio di ciò sono i tristemente noti Piani di Zona. Stiamo parlando di decine di migliaia di case costruite con finanziamenti pubblici per essere destinate a risolvere l’emergenza abitative, che invece sono state poi messe sul mercato a prezzi gonfiati. In campagna elettorale, il Movimento 5 Stelle aveva promesso di risolvere questo problema: requisire questi appartamenti e destinarli all’edilizia popolare, rispettando la tanto osannata legalità.

Al contrario, con la nuova amministrazione continuano gli sfratti di queste famiglie, mentre le cooperative private che hanno agito nell’illegalità non vengono quasi toccate. Tutte queste politiche a difesa dei potenti, creano enormi disagi e malessere per le classi popolari. Intanto, dagli schermi televisivi soffiano sul fuoco con un vento di classismo, xenofobia e razzismo, orientando sui migranti una crescente rabbia sociale e additando i lavoratori e i più indeboliti come colpevoli di questo malessere dilagante soprattutto in periferia. Ma noi restiamo al fianco del quartiere, per tornare a organizzare questa rabbia e riprenderci dal basso ciò che ci spetta di diritto. Proprio come in quegli anni che il nostro documentario ha deciso di raccontare con la voce dei suoi protagonisti».