Frammenti di un ritratto di «un vescovo fuori serie», la cui vicenda può essere fonte di riflessioni «sul potere vissuto solo come servizio». A delinearli è il libro di Aldo Zanchetta Samuel Ruiz. L’uomo e il profeta, edito da Hermatena (pp. 239, euro 17): non una nuova «biografia organica» – di quelle a cui il vescovo si era sottratto con decisione durante la sua vita, volendo piuttosto che si ponesse l’accento sul cammino collettivo della sua diocesi – bensì «una serie di pennellate di un quadro solo abbozzato», con il contributo di figure del calibro, per citare solo alcuni nomi, di Gustavo Esteva, Carlos Fazio, Gustavo Ituarte, Raúl Zibechi.

PENNELLATE che, lungi dal ridurlo a un’«icona sacra», restituiscono intatta la grandezza dell’uomo, la sua capacità di affrontare le sfide dell’epoca, a cominciare da quella della sua conversione agli indigeni e della conseguente nascita di una Chiesa india. Un atto di rottura – commenta Zibechi – rispetto a «cinque secoli di evangelizzazione, che erano consistiti nel distruggere quelle stesse culture che ora apparivano come la chiave della salvezza».

DI CERTO, come per tutti i grandi profeti della Chiesa della liberazione, anche Ruiz ha attirato a sé molto amore e molto odio, da parte sia del potere politico che di quello ecclesiastico.
Così, nel 1994, quando prende il via l’insurrezione dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, la prima reazione del governo è quella di accusarlo di essere il «comandante Sam», istigatore e organizzatore della rivolta, in linea con il pregiudizio razzista che riconduce sempre ogni iniziativa india a un qualche attore non indigeno.

MINACCIATO di morte – Zanchetta ricorda come San Cristóbal fosse «tappezzata di manifesti con la foto di Ruiz e la scritta ’Ricercato’» – don Samuel non si lascia intimidire, accettando di svolgere il ruolo di mediatore nel conflitto tra Ezln e governo federale, non senza precisare con chiarezza di voler partecipare ai negoziati «come vescovo che, non essendo giudice, non rinuncia a essere anche profeta».

Ma «lungo e sofferto» è stato anche il conflitto con la Chiesa di Roma, prima col suo nunzio apostolico in Messico Girolamo Prigione, protagonista di tante crociate contro la Teologia della Liberazione e la Chiesa più fedele allo spirito del Concilio e della Conferenza di Medellín, e poi direttamente con i vertici vaticani, «cosa non sorprendente per i profeti chiamati ad aprire – o riaprire – orizzonti».

E se il nunzio amico dei narcos fallisce nel compito di rimuoverlo, è proprio allo scopo di frenare il processo diocesano che il Vaticano spedisce a San Cristóbal, nel 1995, il domenicano mons. Raúl Vera Lopez come coadiutore con diritto di successione, con il compito di cambiare «quello che nella diocesi doveva essere cambiato». Salvo poi, di fronte alla conversione anche di don Raúl, diventato il più fedele alleato del vescovo di cui avrebbe dovuto correggere le presunte deviazioni, trasferirlo all’altro capo del Paese, a Saltillo, ai confini con gli Stati Uniti.